Martedì, 11 Giugno 2019 15:08

Accord Phoenix, Consiglio comunale approva ordine del giorno di poche righe

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Surreale.

Troviamo difficile definire in altro modo il Consiglio comunale riunito stamane in seduta aperta e straordinaria per discutere la vicenda ‘Accord Phoenix’.

Assenti i parlamentari abruzzesi - alcuni impegnati, a dire il vero, in Commissione ambiente alla Camera sul decreto Sblocca cantieri - assenti i rappresentanti della Giunta regionale, assenti, soprattutto, i vertici dell’azienda, assenti la maggior parte degli assessori comunali, col sindaco Pierluigi Biondi che ha presenziato i lavori per poi abbandonare l’aula, richiamato da un impegno istituzionale a Roma, senza aver proferito parola, l’assise ha licenziato stancamente un ordine del giorno di poche righe che, di fatto, “impegna il Sindaco e il presidente del Consiglio ad assumere presso la proprietà di Accord Phoenix informazioni circa l’utilizzo dei fondi già erogati, investimenti previsti, assunzioni da completare e di riferire, pertanto, in Consiglio”.

In altre parole, “invitiamo il sindaco – che è andavo via senza intervenire – a chiedere ai vertici di Accord Phoenix, che stamane non si sono presentati, i loro orientamenti per il futuro. E’ una presa in giro”, ha sintetizzato ironicamente il capogruppo di Articolo 1 Giustino Masciocco che con i colleghi d’opposizione Stefano Palumbo e Stefano Albano (Pd), Paolo Romano, Elia Serpetti, Emanuela Iorio e Antonio Nardantonio (Il Passo Possibile) ed Elisabetta Vicini (Democratici e socialisti) ha deciso di astenersi.

17 i voti favorevoli all’ordine del giorno, giunti dai consiglieri di maggioranza presenti e dagli esponenti delle opposizioni Carla Cimoroni (Coalizione sociale) e Lelio De Santis (Idv) che pure hanno voluto sottolineare come il documento fosse lacunoso e, ha aggiunto Cimoroni, “temo piuttosto inutile”.

D’altra parte, sebbene l’assise fosse stata convocata in seduta straordinaria non è stata illustrata alcuna relazione d’apertura né era stata istruita alcuna bozza di risoluzione da discutere. Dunque, dopo aver ascoltato l’intervento di uno dei 54 lavoratori di Accord che, a nome dei colleghi, delle Rsu e delle organizzazioni sindacali Fim-Fiom e Uilm, ha dato lettura di una lettera aperta alla città che, come comprensibile, è schiacciata sulle posizioni dell’azienda a tutela dei posti di lavoro, e data la parola ad una ex lavoratrice del polo elettronico che, ancora in attesa di essere rioccupata, ha altrettanto comprensibilmente chiesto conto delle modalità seguite fino ad oggi per l’assunzione del personale, sono seguiti un paio di interventi dei consiglieri – quello di Giorgio De Matteis, in particolare, che segue la vicenda dal 2013 e non ha mai mancato di levare una voce critica sulla fattibilità dell’investimento – il presidente Roberto Tinari ha convocato una conferenza dei capigruppo per giungere alla stesura dell’ordine del giorno che, tuttavia, non è stato condiviso da parte delle opposizioni e per inerzia è stato assunto dalla maggioranza.

E’ così che il Consiglio comunale ha affrontato una vicenda assai spinosa, che riguarda il futuro lavorativo di 54 persone (e delle loro famiglie), e che interroga su un investimento dichiarato di circa 50 milioni di cui 11 provenienti dal 4% dei fondi per la ricostruzione destinati allo sviluppo economico in uno stabilimento, quello di Pile, acquistato dall’allora amministrazione di centrosinistra e ceduto, poi, ad Accord Phoenix ad una quotazione di assoluto vantaggio a patto che l’azienda assumesse, come da accordi intercorsi, 128 lavoratori dell’ex polo elettronico.

Al solito, la politica si è limitata – goffamente – ad inseguire una ‘crisi’ che è già esplosa in tutta la sua gravità, col sequestro preventivo di quasi 5 milioni di euro, i fondi fin qui trasferiti da Invitalia, nei confronti della società e di tre persone, Francesco Baldarelli, Ravi Shankar e Luigi Ademo Pezzoni, accusate del reato di indebita percezione di contributi statali. Una vicenda drammatica, se è vero che già si parla di cassa integrazione per i 54 dipendenti, con la società che, non più tardi di qualche settimana fa, aveva chiarito come fosse in attesa dell’ultima tranche di fondi pubblici per più di 6 milioni così da dare fiato all’azienda e pensare all’assunzione di altro personale da quel bacino di oltre 70 persone che, ancora oggi, sei anni dopo l’annuncio dell’insediamento di Accord Phoenix, spera di tornare al lavoro.

Oramai è tardi, però. Arrivati a questo punto, non resta che attendere gli sviluppi dell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica dell’Aquila.

Resta il silenzio del sindaco e della maggioranza al governo della città che, sulla vicenda, non hanno ancora detto una parola, sebbene eventuali responsabilità – sia detto senza infingimenti – andrebbero ricondotte alla passata amministrazione; resta l’inconsistenza di un Consiglio comunale che, stamane, si è mostrato lontanissimo dai problemi dei lavoratori, poco informato almeno; resta la gestione confusa del presidente del Consiglio comunale Roberto Tinari che, seppure in buona fede, ha convocato per l’ennesima volta l’assise in seduta straordinaria non garantendo a maggioranza e opposizione la possibilità di approfondire la tematica in oggetto. Di fatto, le informazioni che l’assise si è determinata ad ottenere dal sindaco Pierluigi Biondi avrebbero potuto essere reperite da Invitalia, se ci fosse stato un impegno concreto sulla vicenda da parte dell'amministrazione comunale.

Resta la chiusura di Accord Phoenix che, colpevolmente, ha disertato il Consiglio comunale: oltre l’inchiesta giudiziaria, i vertici della società avrebbe potuto, almeno, dare delucidazioni sul piano industriale mai svelato alla città – dovesse risolversi la vicenda con la completa assoluzione dei vertici della società, come ci si augura – e sulle voci, che circolano da tempo, di una presunta volontà di cedere l’azienda, una volta ottenuta l’ultima tranche del finanziamento pubblico, se mai arriverà, a questo punto. Una prassi che abbiamo già conosciuto, in questo territorio. Anzi, a quanto si è potuto apprendere dalle parole del presidente Tinari ci sarebbero state anche delle pressioni, gravissime se fosse andata davvero così, affinché si evitasse la convocazione del Consiglio e non è sfuggito, d’altra parte, come nell’aula vi fossero persone che hanno registrato l’intera seduta dell’assise.

Lo ribadiamo, che la magistratura faccia il suo corso e chiarisca i punti oscuri della vicenda; tuttavia, dal punto di vista politico non si può che notare come, nella migliore delle ipotesi, vi sia stata una forte ingerenza della politica che ha portato ad una sottovalutazione di questioni che pure avrebbero dovuto preoccupare, e parecchio - dalle ombre sull’assetto societario al trust schermato a Cipro, dai dubbi sulla effettiva disponibilità economica dei soci alla perplessità sulla tenuta dell’azienda in un settore così complesso come lo smaltimento dei Raee fino alle effettive competenze di coloro che a suo tempo presentarono il progetto - pur di raggiungere lo scopo, meritorio, di dare una speranza ai lavoratori lasciati a casa dal fallimento delle aziende dell’ex polo elettronico.

Comprensibile sia chiaro, se si intende credere alla buona fede dei protagonisti di una vicenda ancora da chiarire nei suoi contorni, ma che non giustifica affatto la scarsa attenzione ad aspetti che pure andavano chiariti per tempo, come l’effettivo impegno economico dei soci in un’operazione finanziaria da 50 milioni di euro, 11 provenienti dalle risorse per la ricostruzione. E proprio a tutela dei lavoratori, di quelli reimpiegati e di quelli che restano in attesa da anni. Poi, sarà il tempo a dire se si sia trattato davvero di sottovalutazione, o se le responsabilità invece siano di altro tipo. 

 

Ultima modifica il Martedì, 11 Giugno 2019 19:11

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