Lunedì, 07 Aprile 2014 03:29

Fabrizio Barca: "Ricostruzione partita, è l'ora dello sviluppo"

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La ricostruzione è partita, adesso è l'ora dello sviluppo”.

A parlare è Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione territoriale con delega alla ricostruzione, intervenuto ieri alla diretta speciale che Rai Radio 3 ha tenuto, per tutto il giorno, nell'auditorium del Gran Sasso Science Institute, in occasione del quinto anniversario del terremoto.

Barca – che, dopo l'esperienza governativa, è tornato a fare il dirigente del ministero dell'Economia a tempo pieno - si tratterrà in città anche oggi, per trascorrere una giornata di lavoro insieme ai dottorandi dell'istituto diretto da Eugenio Coccia.

“Subito dopo il terremoto” ha detto l'ex ministro “fui mandato qui da Tremonti. Era il luglio del 2009. In quei giorni parlai con il sindaco e con gli altri soggetti istituzionali di quale rilancio e quale sviluppo dare alla città. Coinvolgemmo anche l'Ocse. Furono partorite delle idee che però poi non vennero tradotte in progetti perché la città, in conseguenza di alcune scelte politiche, entrò in una fase di ibernazione durata troppo a lungo”.

Dottor Barca, come andarono le cose?

Il 20 dicembre 2009, quando vidi che non avevamo spazi per portare avanti le idee che avevamo partorito mesi prima,  dal GSSI ai sottoservizi, mandai una mail a tutti quelli che avevano lavorato  insieme: privati, pubblica amministrazione e associazioni. Dissi loro con franchezza che non vedevo le condizioni ideali per farcela. Mi scusai anche con l'Ocse perché li avevo trascinati qui per tre mesi. A quel punto entrammo in una specie di ibernazione da cui siamo usciti grazie a soggetti di cui forse si è parlato poco, che sono le organizzazioni sindacali e Confindustria. Non posso dimenticare che quando la situazione si era bloccata loro caparbiamente vennero a bussare di nuovo alle porte delle persone che avevano tirato fuori delle idee che sembravano ragionevoli e ci convinsero a tornare all'Ocse. Non perché l'Ocse avesse la verità rivelata ma perché, quando entri  in una fase di congelamento, ti serve un fattore di calore e l'Ocse era uno strumento, una leva per spaccare quel ghiaccio. L'Ocse fu convinta a rientrare in partita, così come l'università, e si riavviò un ragionamento grazie a Cgil, Cisl e Uil. Non posso non ricordare i soldi che i lavoratori e le imprese raccolsero per finanziare progetti operativi. Quella leva esercitata da sindacati e Confindustria fece sì che quando mi ritrovai con un incarico come ministro non dovemmo ripartire da zero ma dalle idee che la città aveva consegnato all'Ocse.

Il Gran Sasso Science Institute è una realtà che ha, tra le proprie ambizioni, anche quella di diventare una sorta di catalizzatore affinché L'Aquila possa trasformarsi in una città attrattiva sotto il profilo dei saperi e delle specializzazioni, così come lo sono, ad esempio, Pisa e Trieste. Si è detto tante volte che la città può e deve puntare sull'università, la ricerca, l'alta formazione. Ma potrà vivere, L'Aquila del futuro, solo sul terziario, per quanto avanzato, su un'economia basata solo sui servizi, per quanto a valore aggiunto? Non servono anche le industrie, il comparto manifatturiero?

Il manifatturiero certo è necessario ma non ci si può aspettare che dia molto lavoro. So ad esempio che l'enorme quantità di fondi spesi ogni mese per la ricostruzione – 100 milioni mi dicono – si trasforma in salari per i lavoratori e profitti per le imprese ma questi soldi poi non rimangono qui. E' come se la città non riuscisse a catturarli. E questo è un peccato enorme. Un anno e mezzo fa  avevamo stabilito che il 5% dei fondi stanziati dalla delibera Cipe andassero alle attività produttive. Ma le decisioni che avevamo impostato stanno tardando ad arrivare. E' ora di muoversi.

Dove altro si è sbagliato, secondo lei?

Ad esempio nel programmare il rientro del commercio nel centro storico. Lì sono stati commessi degli errori. Lo dico con molta sincerità: avevamo disegnato un provvedimento, il de minimis, che prevedeva fino a 100 mila euro per ogni commerciante che rischiasse di rientrare in centro. Il provvedimento è stato attuato male perché  per voler dare a tutti è stato dato pochissimo: 15, 16, 17 mila euro per ogni impresa, soldi con i quali di certo non si coprono i rischi di un avviamento. Tutto ciò ha provocato mortificazione e rabbia tra gli imprenditori e i commercianti.

Che ruolo deve avere invece l'università?

E' dall'università che deve arrivare il contributo più grande al rilancio della città. Adesso che è diretta da una persona di grande valore, ci aspettiamo che dall'università arrivino delle proposte. Idee semplici, non troppo complicate. Ad esempio, un innalzamento dell'offerta educativa, che faccia venire voglia di venire a studiare all'Aquila. Vorrei indicare alla mia amica Paola Inverardi, che dirige in maniera straordinaria l'università, un modello: l'università di Camerino, che anni fa seppe avere il coraggio di istituire un elevato numero di corsi in lingua inglese. Grazie a questa intuizione Camerino in pochi anni ha attratto dall'estero più di 1200 studenti. E se vieni dall'estero finisci che ti fermi a vivere in quel posto per due, tre anni e magari metti anche radici. Per L'Aquila se non sarà l'inglese sarà un'altra cosa ma c'è bisogno di una proposta dell'università che innalzi l'offerta.

Non c'è solo L'Aquila, però. Ci sono anche i paesi più piccoli, nei quali la ricostruzione dei centri storici è ancora sostanzialmente ferma.

Il fatto che nei centri storici dei piccoli paesi non sia ancora partita la ricostruzione dipende dalla programmazione. Purtroppo programmare vuol dire decidere, fare un elenco delle priorità. Si è deciso che la priorità doveva essere il centro dell'Aquila. Arriverà anche il momento delle frazioni.

Lei ha concluso da poco un lungo viaggio attraverso l'Italia, intrapreso per conoscere la situazione del Partito democratico, per il quale è tesserato, e per discutere il suo modello di partito, che è molto diverso da quello incarnato dal segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi. Cosa pensa di questo decisionismo dai modi sbrigativi che Renzi ha portato sia all'interno del partito che all'interno del Governo e del Parlamento?

Bisogna avere il coraggio di saper marcare le differenze. Io la vedo in un altro modo rispetto a Renzi ma bisogna saper apprezzare quelli che lavorano diversamente da te. Renzi può provocare la rottura del pantano, di quel pantano con la crosta che si è formato e che è micidiale perché impedisce ai fiori che ci sono sotto di uscire fuori. Quello di Renzi non è il mio modo di lavorare però, anche quando c'è una diversità, devi saper vedere i fatti. Gli italiani hanno speranza nel cambiamento portato da Renzi, e la sua è un'opera che deve avere successo. Noi che la vediamo in un'altra maniera dovremo dare un contributo negli spazi che si apriranno. Oggi (ieri, ndr) sono arrivato all'Aquila dalla Puglia, dove ho visto esperienze di sperimentalismo democratico straordinarie, ad esempio cittadini di un piccolo Comune - Melpignano - che decidono insieme – utenti, produttori e finanziatori coordinati dal sindaco – come erogare l'acqua o di mettere non il fotovoltaico che distrugge l'agricoltura ma quello che si installa sui tetti delle case. Anche in questo territorio occorre inventarsi delle forme di sperimentalismo democratico, dei modi nuovi di governare, che non sono né pubblici né privati. Questo non è incoerente con quello che fa Renzi. E' diverso ma le due cose possono sposarsi.

 

Ultima modifica il Martedì, 08 Aprile 2014 09:59

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