La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi in quanto "discriminatori" e "irragionevoli" due articoli della legge 34 approvata dal Consiglio regionale il 15 ottobre del 2019 sull’assegnazione degli alloggi d'edilizia residenziale pubblica.
Ad essere dichiarata incostituzionale, in particolare, è la norma che prevede per cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea di presentare la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedano alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza. Irragionevole anche la norma che prevede un punteggio aggiuntivo per accedere ad un alloggio basato sull’anzianità di residenza in Abruzzo, essendo lo stesso eccessivo rispetto alla definizione delle graduatorie d'accesso.
Viene fatta salva, invece, la norma che impone ai soli cittadini extracomunitari di produrre la documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza fiscale.
L’udienza pubblica dei giudici delle leggi si è tenuta il 12 gennaio, presieduta da Giancarlo Coraggio, la decisione è stata pubblicata ieri sera.
La legge regionale, approvata dalla maggioranza di centrodestra per modificare le norme di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, era stata impugnata dal Governo in quanto varie norme - era stato spiegato - violavano "i principi di ragionevolezza, di uguaglianza e non discriminazione di cui all’ articolo 3 della Costituzione, oltre a risultare invasive della competenza esclusiva statale in materia di 'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali' e di 'ordine pubblico e sicurezza' di cui all’articolo 117 della Costituzione".
D'altra parte, il provvedimento era stato tra i primi rivendicati politicamente da Fratelli d'Italia, il partito del governatore Marco Marsilio e dell'assessore al ramo Guido Quintino Liris - si pensi che la leader Giorgia Meloni aveva dedicato alla norma abruzzese un lungo post su facebook - salutato con soddisfazione anche dalla Lega di Matteo Salvini.
Ed oggi, Marsilio sottolinea che "la sentenza della Corte costituzionale", in realtà, fa emergere che "nella nostra legge non c'è nulla di discriminatorio nei confronti dei cittadini stranieri che vivono in Abruzzo"; la norma sulla premialità residenziale - aggiunge il governatore - "è stata bocciata soltanto perché il punteggio è eccessivo e pur essendo corretta la linea di principio, quindi, va rivisto il punteggio che in origine attribuiva un massimo di sei punti. Secondo quanto suggerito dai giudici della Consulta, adegueremo il punteggio relativo al periodo di residenza in Italia per attribuire il giusto peso nella redazione delle graduatorie".
Aggiunge il presidente del Consiglio regionale d’Abruzzo Lorenzo Sospiri: "la Corte ha certificato la bontà delle valutazioni del nostro Governo regionale. Giusto imporre anche agli stranieri l’onere di certificare la documentazione reddituale e patrimoniale del Paese in cui hanno la residenza fiscale, anziché una semplice autocertificazione, per avere una casa popolare; giusto attribuire un punteggio maggiore in base agli anni di residenza sul territorio, seppur da ridurre nella fase di valutazione".
Va ribadito, però, che la Corte costituzionale ha in realtà cancellato aspetti dirimenti della legge abruzzese come, appunto, quella che prevedeva per cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea di presentare la documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non possiedano alloggi adeguati nel Paese, di origine o di provenienza. Scrivono i giudici: "l’onere procedimentale prescritto dalla disposizione in esame risulta in radice irragionevole innanzitutto per la palese irrilevanza e per la pretestuosità del requisito che mira a dimostrare"; se, infatti, "lo scopo della normativa nella quale la disposizione impugnata si colloca è di garantire un alloggio adeguato nel luogo di residenza in Regione a chi si trovi nelle condizioni di bisogno individuate dalla legge, il possesso da parte di uno dei componenti del nucleo familiare del richiedente di un alloggio adeguato nel Paese di origine o provenienza non appare sotto alcun profilo rilevante". Non lo è "sotto il profilo dell’indicazione del bisogno, giacché, intesa l’espressione 'alloggio adeguato' come alloggio idoneo a ospitare il richiedente e il suo nucleo familiare, è evidente che la circostanza che qualcuno del medesimo nucleo familiare possegga, nel Paese di provenienza, un alloggio siffatto non dimostra nulla circa l’effettivo bisogno di un alloggio in Italia". E non lo è nemmeno come indicatore della situazione patrimoniale del richiedente, "per la quale non offre alcun significativo elemento aggiuntivo rispetto a quanto già si desume dalla generale attestazione di non titolarità di diritti su alloggi all’interno del territorio nazionale o all’estero". Si tratta, per concludere, di un discriminatorio "aggravio procedimentale che si risolve in ostacoli di ordine pratico e burocratico".
Più chiaro di così.
Rispetto al punteggio premiale per l'anzianità di residenza, invece, nella sentenza si legge che "la previa residenza ultra quinquennale non è di per sé indice di un’elevata probabilità di permanenza in un determinato ambito territoriale, mentre a tali fini risulterebbero ben più significativi altri elementi sui quali si può ragionevolmente fondare una prognosi di stanzialità".
Il punteggio massimo da attribuire alle condizioni soggettive (reddito e numero dei componenti il nucleo familiare) previsto dalla norma è di 5 punti; quello per le condizioni oggettive (gravità del disagio abitativo) è di 9 punti; quello per le 'condizioni aggiuntive regionali' è di 5 punti. Infine, quello per la residenza protratta (di cui alla norma impugnata) è di 6 punti. Sostiene dunque la Corte: "se solo si raffronta il punteggio massimo assegnabile per le condizioni soggettive del richiedente con quello massimo ottenibile in base alla residenza protratta, non si può non constatare l’evidente sopravvalutazione, operata dal legislatore regionale, della situazione connessa all’anzianità di residenza rispetto al rilievo conferito alle altre condizioni, e segnatamente a quelle che più rispecchiano la situazione di bisogno alla quale il servizio tende a porre rimedio". In conclusione, "il peso esorbitante assegnato al dato del radicamento territoriale nel più generale punteggio per l’assegnazione degli alloggi, il carattere marginale del dato medesimo in relazione alle finalità del servizio di cui si tratta, e la stessa debolezza dell’indice della residenza protratta quale dimostrazione della prospettiva di stabilità, concorrono a determinare l’illegittimità costituzionale della previsione in esame, in quanto fonte di discriminazione di tutti coloro che – siano essi cittadini italiani, cittadini di altri Stati UE o cittadini extracomunitari – risiedono in Abruzzo da meno di dieci anni rispetto ai residenti da almeno dieci anni".
Va aggiunto, altresì, che la legge aveva già subito alcune modifiche su altri aspetti contestati, come la preclusione all’accesso alle case popolari per chi si era macchiato di determinati crimini, di cui la infatti la Corte ha dichiarato estinta la questione di legittimità costituzionale.
Resta, dunque, la difesa d'ufficio di un atto politicamente 'identitario' per la destra, basato sul concetto del "prima agli abruzzesi", che, tuttavia, è stato smontato dalla Corte costituzionale in alcuni aspetti che erano francamente indigeribili.