Lunedì, 29 Aprile 2013 23:53

Elezioni per il rettore dell'Univaq: intervista a Paola Inverardi

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Si è tenuto ieri, alla Reiss Romoli, il secondo incontro tra i candidati rettore Angelo Luongo e Paola Inverardi. Il confronto si è svolto alla presenza di alcuni rappresentati dell’associazione civica “L’Aquila Città Unita” che hanno espresso la volontà di organizzare un appuntamento pubblico: “riteniamo la figura del Rettore, più importante di quella del Sindaco - hanno detto - vogliamo, perciò, accorciare le distanze tra città e mondo universitario”. 

Dopo avervi raccontato i primi tentativi di dialogo, con l'intervista ad Angelo Luogo, News-Town stavolta ha incontrato la professoressa Paola Inverardi, ex-preside della facoltà di Scienze e membro del Senato Accademico: si è parlato dei reali problemi della nostra università ma anche di donne, lavoro e futuro.

Nell’incontro precedente, ha parlato di un reale progetto di sviluppo: quali le strategie per attuarlo, considerando che lei stessa ha sottolineato la criticità del contesto nazionale, territoriale e dell’Ateneo?
Dobbiamo innanzitutto cercare di mettere in campo delle azioni che rendano attrattivo l’Ateneo, sia per studenti che per docenti e ricercatori. Per renderlo realistico, dobbiamo attuarlo nell’ambito dei vincoli finanziari che impone il sistema. Se dovessimo pensare a degli investimenti in termini di nuove risorse, questi sarebbero limitati perché è ragionevole aspettarsi molto poco nei prossimi anni. La strategia, quindi, deve essere quella di gestire al meglio le risorse interne e cercare di mettere in campo azioni di collaborazione “opportunistica” con soggetti esterni, penso ad altri atenei e a centri di ricerca che permettano di creare “relazioni di rete”. Supponiamo, per esempio, di voler creare una laurea in Fisica Ambientale, un progetto che era stato preso in considerazione quando ero preside della facoltà di Scienze: a L’Aquila esistono delle competenze importanti ma numericamente non sufficienti a realizzare un processo formativo di questo genere. Al tempo stesso, l’università di Roma “La Sapienza” ha altre competenze, complementari a quelle dell’Aquila e ha anche una potenzialità di studenti maggiore: insomma collaborare vorrebbe dire creare una laurea magistrale unica in Italia. 

Non ha il timore che in questo modo si perda la specificità della nostra università?
No, perché aprirsi non vuol dire perdersi. Il sistema che ho in mente è un sistema aperto ed è fondato sulla capacità di esibire competenze, di far emergere risorse nascoste. Il modello dell’internalizzazione è replicabile inter-ateneo, quando le competenze permettono di creare qualcosa che prima non c’era, e questo vale anche per la ricerca. Mi domando perché, per uno studente, dovrebbe essere vista come una perdita la possibilità di avere una laurea che non esiste su tutto il panorama nazionale? La logica è solo di arricchimento.

Ha fatto notare che, in termini di risorse umane, negli ultimi anni abbiamo perso molto e che servirebbe un incremento del personale; dove potremmo prendere i fondi?
Il problema è che le risorse non saranno sufficienti a potenziare tutti i comparti che sono in sofferenza, perciò occorre mettere insieme le competenze in modo più creativo. Per quanto riguarda il personale tecnico-amministrativo, per rafforzare il patrimonio umano dell'Ateneo ci sono due strade: riavviare un processo di acquisizione di risorse esterne, bloccate da tantissimo tempo, ed utilizzare al meglio le qualifiche che esistono all’interno del personale. Saranno di certo necessarie nuove assunzioni, insomma, per cercare di porre rimedio alle perdite che avremo per cessazioni naturali, come pensionamenti e trasferimenti. Questo avverrà solo in parte, però, quindi in realtà saremo sempre un po’ in difetto, anche perché questo nuovo governo non credo investirà molto sull’università.

Nell’esporre il suo programma, parla spesso di un’offerta formativa sostenibile e difendibile. Può spiegarci meglio?
La definizione di sostenibilità è matematicamente esprimibile: è il decreto 47 che impone che l’offerta didattica che noi presentiamo all’esterno abbia caratteristiche di sostenibilità. In altre parole, il nostro sistema universitario viene accreditato in base al personale docente e ricercatore che ha in carico un potenziale didattico, in termini di ore, che deve essere maggiore o uguale a quello che effettivamente offriamo. Difendibile vuol dire che ciò che noi offriamo, oltre a superare questo vincolo quantitativo formale, deve anche essere formativamente attrattivo, deve garantire agli studenti un titolo spendibile nel mondo del lavoro: bisogna dare ai nostri ragazzi i mezzi necessari a difendere il proprio stato di conoscenza.

A cosa pensa sia dovuta l’assenza degli studenti a questi incontri?
Il problema della presenza degli studenti presumo sia dovuto alla scelta dei rappresentanti di aspettare l’ufficializzazione delle candidature [prevista per il 9 maggio, ndr]. Spero che non vogliano sottrarsi al confronto ma cerchino di alimentarlo, di esserne parte attiva perché non credo sia un confronto banale, con il quale la comunità accademica affronti una sorta di rito. Con queste elezioni si fa una scelta e a questa scelta bisogna arrivare nel modo più consapevole possibile.

Ha ammesso che, in questo momento, c’è “necessità di credibilità”. Per come si sta affrontando la campagna elettorale, l’Ateneo è ancora credibile?
Sono stata io a proporre un percorso che sia fuori dal rituale e quindi anticipatorio rispetto alla normale scadenza, definita dal decano. Io continuo a pensare che, indipendentemente dalla partecipazione, il fatto che si parli in modo esplicito e alla luce del sole dell’elezione del rettore sia un fattore positivo e di credibilità. La discussione, quando si aggiungeranno gli altri candidati, diventerà ancora più interessante e trasparente. Credo che l’università avesse da tempo bisogno di  chiarezza. C’era bisogno di essere espliciti anche sulla candidatura, perciò ho trovato più corretto dichiararlo piuttosto che parlarne nei corridoi.

Nel precedente incontro ha detto che ci dovrebbe essere una sorta di istituzione capace di gestire il rapporto università-ospedale, in modo da renderlo più proficuo. Cosa ha in mente?                             L’ospedale è solo un esempio, si dovrebbe modificare il rapporto tra università e mondo esterno. Credo che, in questi anni, abbiamo un po’ sofferto da questo punto di vista, nel senso che molto spesso l’università è stata indentificata con la figura del Rettore.

E questo non ha giovato all’immagine dell’università?
No, perché tante volte il Rettore ha manifestato opinioni personali che non erano frutto di una elaborazione dei consensi. Certo, era nelle sue prerogative ma credo sarebbe stato più corretto che i rapporti istituzionali venissero tenuti da un insieme di persone che rappresentano le varie componenti dell’Ateneo.

Quindi se lei fosse eletta Rettore avrebbe un approccio diverso rispetto a Di Orio, nei confronti degli altri membri dell’Ateno?
Sì, ma già tanti anni prima di DiOrio si lamentava la mancanza di un rapporto non trasparente con le varie istituzioni, quindi credo ci sia davvero il bisogno di un organismo che sia rappresentativo dell’intera università, che gestisca i rapporti con il mondo esterno.

La maggiora parte dei nostri iscritti sono donne ma poi nel mondo del lavoro le donne non sono avvantaggiate: pensa che la sua candidatura possa essere un messaggio positivo da questo punto di vista?
Quando si parla di donne che ricoprono cariche importanti si fa spesso riferimento al “role model”, cioè a un modello di ruolo. Non penso, però, di rappresentare un buon modello di ruolo perché sono una persona che ha utilizzato molto del suo tempo per il lavoro. Il modello di donna a cui dobbiamo tendere è una donna che abbia la possibilità di fare le proprie scelte senza dover sentire che, se si fa qualcosa, si sta prendendo una strada piuttosto che un’altra. 

Infatti le ho posto questa domanda perché un rettore donna “fa ancora notizia”, a L’Aquila sarebbe la prima volta.
Certo, è una notizia perché non è tanto il fatto di far entrare le donne nel mondo del lavoro ma è quello di farle raggiungere le posizioni apicali. A questo proposito, si può dire che il nostro Ateneo è abbastanza atipico perché, dalle  presidi alle direttrici, la presenza delle donne è sempre stata importante.Ciò che preclude la partecipazione delle donne è la problematica dei tempi e della qualità del lavoro. Credo che non sia accettabile organizzare una struttura complessa dando tempi e modalità di coinvolgimento ad excludendum del resto della vita. Io, per esempio, ho la regola generale che il sabato e la domenica vado in campagna e mi occupo solo di questo.

Quindi lei pensa che una donna potrebbe avere un tipo di sensibilità diverso rispetto alle tematiche che riguardano i giovani?
Spero proprio di sì e questo non ha a che fare, secondo me, con il senso materno ma con un rispetto e una voglia di fare tutto e bene, tipica delle donne. Noi vogliamo fare tutto: vogliamo avere figli e fare carriera, vogliamo stare a casa e andare all’estero, vogliamo cucinare, fare sport e non penso sia un errore, credo che si debba renderlo possibile. Nei paesi scandinavi, alle 4 di pomeriggio, tutti escono dagli uffici perché è il tempo del privato, della casa e della famiglia.

Ci potrebbero essere dei vantaggi, quindi, anche per il personale tecnico-amministrativo?
Questo bisognerebbe deciderlo insieme, da parte mia c’è una grandissima attenzione alla qualità della vita e agli altri bisogni che non siano il lavoro. Credo che un elemento di attrattività sia anche questo: si sceglie di stare in un posto perché ti consente di avere un miglior rapporto con te stesso e con gli altri.

Ultima modifica il Martedì, 30 Aprile 2013 00:28

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