Entrando nel tendone di “L’Aquila Bene Comune” a Piazza San Basilio, ieri sera, la sensazione era di smarrimento - che il Pd non me ne voglia - di non trovarmi alla solita Festa dell’Unità. Tra il pubblico, sempre troppo agé, la preoccupazione era visibile: di certo, non si dimostrava pronto ad ascoltare slogan che i personaggi politici sono soliti "regalare" in queste occasioni. Compito dei relatori, dunque, è stato innanzitutto far leva sull’ottimismo e su una fiducia non solo verso la nostra città e le nostre capacità, come hanno più volte ribadito, ma verso coloro che ne hanno in mano le redini.
Molte volte, quando si parla di L’Aquila e di futuro, si fa riferimento alle risorse della città senza chiedersi su quali “talenti” si vorrebbe e si potrebbe investire.
La neo-rettrice Paola Inverardi, tornata in anticipo da un impegno lavorativo in Brasile per essere presente al dibattito, ha le idee chiare: “il rilancio della città, deve essere anche il rilancio dell’Università e per fare questo ciascuno di noi deve rimettersi in discussione per reggere il confronto con le altre città”. Niente di nuovo, in realtà, nelle sue parole se non un certa combattività, apprezzata dal pubblico, nell’esortare a guardare avanti più che al passato. La professoressa ha ribadito la sua contrarietà al “dov’era e com’era”, nel senso più ampio del termine: “rifare quello che avevamo non è la risposta, per cui stare a preoccuparsi del dato che vede nel 2012 cento giovani al mese che hanno cambiato residenza non porta a nulla: chi ha sofferto ha il diritto di trovare una strada diversa, ciò di cui dobbiamo preoccuparci, invece, è far venire qualcuno da fuori ad investire qui”.
Ma come essere attrattivi? “Se offriamo le stesse attività di altre città, perdiamo in partenza”. E allora si è parlato di iniziative che possano caratterizzare la nostra offerta, puntando sugli elementi di positività.
Eugenio Coccia, del Gran Sasso Institute, ha promosso a tale scopo un dottorato di ricerca internazionale di matematica e scienze che, in seguito all’intervento dell’Ocse nel 2009, è stato giudicato il miglior progetto proposto sulla visione, suggerita proprio dall'organizzazione internazionale, di riagganciarsi a qualcosa che c’è, niente di meno che i laboratori del Gran Sasso.
“Già 400 studenti di tutto il mondo si sono iscritti al dottorato - racconta Coccia - più di quanti si siano iscritti alla Normale di Pisa; dal primo novembre, i 40 più talentuosi verranno qui a L’Aquila, agendo in sinergia con l’Univaq, anche attraverso borse di studio, e sviluppando progetti per ottenere un titolo di ricerca”.
“Questo significa - ha proseguito - che studenti che altrimenti sarebbero andati alla Normale, a Oxford, li porteremo qui a L’Aquila e l’anno successivo ne saranno 80; aggregare in una città diversi istituti significa dare una maggiore attrattività e non spartirsi una torta come in molti hanno detto”.
Non si può parlare di attrattività, se non ci si sofferma a riflettere sulla molto discussa “Smart City”, per Inverardi una scelta obbligata che non lascia spazio a discussioni, sempre inclusa nella prospettiva di far fronte alla “competizione” con altre città.
Nessuno vuole rimanere indietro e la strada nel 2013 è senz’altro la digitalizzazione, come fa notare Oscar Cicchetti, direttore Strategia Telecom Italia, critico sul piano Ocse definito “di principio” e che ha proposto invece di non parlare più di “Città Intelligente” ma di un piano di sviluppo digitale, che richiami anche le piccole aziende e che segua la strada della digitalizzazione con coraggio.
“Oggi in Italia - critica Cicchetti - un terzo della popolazione non usa internet, i servizi pubblici non sono digitalizzati e siamo il Paese che compra meno in rete, questi sono dati preoccupanti perché restare indietro nell’uso del digitale, significa avere meno opportunità”.
E parlando di opportunità, il professor Schippa, intervenuto dal pubblico, ha sottolineato che l’amministrazione e il governo avrebbero dovuto muoversi per incentivare quello che sembra essere l’investimento che garantisce maggiore possibilità di successo, ovvero il progetto Calafati che, con i 20.000 studenti, rialzerebbe lo stato di degrado in cui versava la città già prima del terremoto e riuscirebbe non solo a farla sopravvivere ma addirittura a farla sviluppare.
L’Aquila tuttavia non dovrà distinguersi solo per “contenuti” ma anche per come saprà presentarsi a chiunque verrà a studiare o lavorare qui e questo non può prescindere da un buona disponibilità di servizi.
“Un città priva di servizi, è una città priva di futuro”, ha detto Paolo Aielli, titolare dell'Ufficio Speciale della Ricostruzione che racconta dell'accordo firmato con Enel il 21 marzo per il rifacimento elettrico di 35.000 utenze in città e che significherà energia allocata in modo dinamico e un uso migliore delle fonti alternative.
“Sfido altre città ad avere un progetto del genere”.
La polemica di Antonio Congeduti, dal pubblico, “nessuno di voi, che siete seduti qui, ha fatto qualcosa per aiutare quelle forze sociali nate dopo il terremoto”, è stata seguita da un invito più pacato ad un dialogo “popolare”. L’apertura verso le spinte che emergono dal basso, d'altra parte, è stato uno dei cardini intorno cui è ruotato il dibattito.
Le parole di Paola Inverardi, che hanno suscitato il plauso del pubblico, hanno incarnato perfettamente il concetto: “Cittadino - ha spiegato - è chiunque lasci un segno della sua intelligenza nella città, gli studenti sono perciò cittadini e come tali vanno inseriti in progetti reali e nella vita sociale e culturale della città”.
Tutti d’accordo, dunque, sull'idea di un nuovo modello di città caratterizzato da attrattività e apertura verso l’esterno. Ingrediente principale, l'ottimismo. “Si tratta - come fa notare Oscar Cicchetti - di fare come il contadino che pianta gli ulivi e si dice li pianti per i propri figli perché non farà in tempo a goderne i frutti”.