La Corte d'Appello dell'Aquila ha ufficialmente depositato le motivazioni della sentenza che ha concluso, nel novembre scorso, il processo 'Sanitopoli' con una condanna per associazione a delinquere per induzione indebita a carico dell'ex presidente della Giunta regionale abruzzese, Ottaviano del Turco [ leggi l'articolo] . L'impianto motivazionale della sentenza poggia sull'assunto che Vincenzo Angelini, ex patron delle case di cura Villa Pini e grande 'accusatore' di Del Turco, è stato testimone affidabile e dunque le sue rivelazioni, da cui è partito il processo, sono da ritenersi attendibili.
Sotto il profilo della credibilita' soggettiva dell'ex titolare della clinica Villa Pini, "e, in particolare, della sua personalita'", i giudici aquilani, osservano che "seppure non puo' sottacersi come, in base al suo stesso racconto ed al di la' di quanto dal medesimo sostenuto, emerga non solo un quadro di diffusa illiceita' di comportamenti tenuti da quest'ultimo, negli anni in riferimento, nei rapporti con politici ed amministratori regionali, tutti connessi alla sua attivita' imprenditoriale nel campo della sanita' privata, ma anche una oggettiva rilevante attivita' di distrazione di denaro contante dalle casse e dai conti delle proprie aziende, attivita' quest'ultima in parte anche oggetto di imputazioni nel presente procedimento, tuttavia, a giudizio della Corte, tale rilievo non puo', di per se', ritenersi come necessariamente sintomatico di complessiva inattendibilita' del narrato, dovendo e potendo in proposito soccorrere comunque l'esame degli ulteriori criteri valutativi come in precedenza richiamati, quali delineati dalla giurisprudenza di vertice; d'altra parte, non puo' sottacersi che, in ogni caso, Angelini ha finito con l'esporre circostanze e fatti comunque vissuti in prima persona e che, al di la' della qualificazione ad essi attribuita dal chiamante in termini di liceita' del proprio comportamento, egli non poteva ragionevolmente ignorare che avrebbero potuto assoggettarlo, come poi di fatto avvenuto, a conseguenze personali anche sul piano penale".
Angelini, nel 2008, in sette interrogatori fiume rivelò ai magistrati di aver pagato tangenti per un totale di circa 15 milioni di euro ad alcuni amministratori regionali in cambio di favori. Così, l'ex governatore finì in carcere a Sulmona (L'Aquila) per 28 giorni e trascorse altri due mesi agli arresti domiciliari. In primo grado fu condannato a 9 anni e sei mesi, pena ridotta poi in appello, a 4 anni e due mesi. Mentre il grande accusatore, Vincenzo Maria Angelini in appello e' stato assolto dall'accusa di corruzione -in primo grado era stato condannato a 3 anni e sei mesi-.
Secondo la Corte "la questione sollevata da molte delle difese degli imputati appellanti e relativa alla qualificazione di Angelini in termini di chiamante in reita' o in correita' non assume un particolare rilievo nella presente vicenda processuale per piu' ordini di ragioni". A tal proposito i giudici osservano che "Angelini, pur essendosi sempre dichiarato e ritenuto vittima di fatti concussivi o, comunque, illeciti commessi da altri nei suoi confronti, ha, in concreto, con le sue dichiarazioni, riferito fatti oggettivamente tali da esporlo a possibili accuse a suo carico, cosa poi effettivamente verificatasi sia nell'ambito del presente processo, sia attraverso l'accertato avvio, da parte di altre autorita' giudiziarie, di ulteriori procedimenti penali nei suoi riguardi (ad esempio per il reato di bancarotta fraudolenta, processo quest'ultimo gia' definito in primo grado), comunque collegati alle vicende dell'attuale procedimento penale".