Martedì, 08 Marzo 2016 12:56

L'accoglienza dei migranti in Abruzzo, tra emergenza e ordinario

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Lo abbiamo sottolineato anche un paio di giorni fa: la questione è complessa e affatto pacifica.

Da quando, ormai quasi tre anni fa, è divenuto nuovamente massiccio lo sbarco di migranti - provenienti soprattutto dall'Africa sub-sahariana - sulle coste italiane, sui territori italiani, nella provincia come nelle metropoli, si pone il problema dell'accoglienza delle persone giunte in Italia, in cerca di riparo dalla guerra o alla ricerca di una vita più dignitosa. Una questione cui si è aggiunta, dalla scorsa estate, la situazione dei profughi provenienti dalla polveriera mediorientale.

Nell'aquilano il fuoco si è riacceso con la notizia dell'arrivo di circa 50 migranti nel comune di Fossa, a una decina di chilometri dal centro storico del capoluogo abruzzese [leggi l'articolo]. Ne ha riniziato a parlare la politica, tra chi è contrario alle politiche dell'accoglienza - come i militanti del partito Noi con Salvini - e chi vorrebbe ci fossero soluzioni alternative e sostenibili, come Rifondazione Comunista o il Partito Democratico.

E' inutile, ed esclusivamente strumentale alle posizioni ideologiche e politiche, urlare al mondo migranti sì o migranti no. Nonostante, al di là della percezione frutto della propaganda, sia doveroso sottolineare come l'Italia continui ad essere uno dei paesi europei con minore presenza di stranieri, continueranno ad arrivare sulle nostre coste e sui nostri confini. Pensare di gestire un fenomeno di medio termine con una logica di tipo emergenziale e con un approccio da tifo, è velleitario e non aiuta allo scioglimento dei nodi di cui è composta una situazione complessa. La questione investe quanto i sistemi valoriali delle comunità, tanto il regime del potere amministrativo delle stesse.

Il Pd aquilano ha indetto una conferenza stampa a riguardo, investendo i dirigenti cittadini Stefano Albano e Stefano Palumbo, oltre all'assessora alle politiche sociali del Comune dell'Aquila Emanuela Di Giovambattista e a uno dei due coordinatori (quello di area Pd) del cratere, Francesco Di Paolo, sindaco di Barisciano (L'Aquila).

Sostanzialmente, la proposta del Partito Democratico aquilano è il passaggio graduale dall'emergenza all'accoglienza gestita in modo strutturato. Ma come?


Ci sono centri e centri. Con il piano operativo nazionale, varato dal governo nell'estate 2014, sono stati individuati, soprattutto in prossimità delle aree di arrivo dei migranti, i cosiddetti hub, ossia i centri di primissima accoglienza. La seconda accoglienza, invece, è sostanzialmente di competenza dei Sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), di cui NewsTown ha narrato in un approfondimento già nel 2013. I progetti Sprar hanno un grado di strutturazione più elevato e un controllo analitico della spesa, viene concordato attraverso bandi tra i soggetti accreditati al ministero e gli enti locali (i Comuni) di competenza dei territori nei quali il progetto si esplicita.

Dov'è l'inganno? Nell'applicazione della logica emergenziale, of course. Secondo il piano operativo nazionale, infatti, solo una piccola percentuale dei centri di seconda accoglienza sarebbero dovuti essere "straordinari", cioè slegati dai lacci, dagli accreditamenti e dal controllo cui sono sottoposti i programmi dello Sprar. Invece, come sovente accade in Italia, l'eccezione supera la normalità: dei quasi 99mila migranti presenti al 10 ottobre 2015, solo il 20% è parte del progetto Sprar. Il restante 80%, dopo aver transitato negli hub, viene trasferito in strutture nate ad hoc nei mesi dell'emergenza, chiamate centri di accoglienza straordinaria. Questo significa che le prefetture individuano attraverso un bando il soggetto deputato alla gestione dei centri, senza concertazione con l'ente locale, e coinvolgendo quest'ultimo solo quando è stato già tutto deciso.

Il problema riguarda anche L'Aquila e l'Abruzzo: la regione, che deve ospitare fino al 2% dei migranti presenti sul territorio nazionale, ha una percentuale di Sprar in linea con la media nazionale. Basti pensare che sono presenti solo in cinque località (L'Aquila, Pescara, Teramo, Fossacesia e Roseto degli Abruzzi): il resto delle persone viene sistemata nei centri di accoglienza straordinaria. E' questo il caso di Fossa, ad esempio dove, a meno di dietrofront, saranno ospitate 50 persone in 16 appartamenti gestiti dal fondo immobiliare Europa Risorse, e allocati in accordo con la cooperativa che ha vinto il bando della Prefettura: Eta beta.

Chi gestisce i migranti? Eta beta, ad esempio, è una importante cooperativa romana, e il suo nome emerge (marginalmente) anche nell'inchiesta Mafia Capitale [leggi l'articolo]. Al di là del coinvolgimento nelle inchieste giudiziarie, il problema principale dei soggetti che gestiscono l'accoglienza, è che non debbano avere particolari accrediti presso il ministero, anche se i criteri di bando viene decisa in autonomia da ogni prefettura. Nascono così cooperative create ad hoc, poco prima dell'emergenza, ed emerge curiosamente come, per esempio, un'associazione che si chiama Arischia accoglie gestisca centri anche a Sulmona e Barisciano. Nessun dubbio viene insinuato in questa sede sulla bontà del lavoro delle cooperative o delle associazioni come quella su citata, ci mancherebbe. Ci limitiamo solo a evidenziare come il centro di accoglienza straordinaria sia per definizione palcoscenico e strumento di lavoro di soggetti con pedigree talvolta blandi, permessi grazie agli altrettanto blandi controlli e certificazioni delle prefetture.

La distribuzione dell'accoglienza. Nel corso della conferenza stampa, sia il segretario Albano, sia l'assessora Di Giovambattista hanno sottolineato come per l'accoglienza debbano assumere un'importanza strategica i fattori demografici: "Pensiamo solo che Pizzoli accoglie lo stesso numero di migranti di Avezzano", ha evidenziato Albano. "Devono essere presi in considerazione anche fattori legati all'indice di vecchiaia, o ai servizi offerti", ha aggiunto Di Giovambattista.

La proposta del Pd. "Dobbiamo passare più velocemente possibile dai centri di accoglienza straordinaria allo Sprar", ha ribadito più volte Di Giovambattista. Switchare, insomma. Il Pd vorrebbe inoltre un controllo maggiore sui soggetti che gestiscono i centri: "I soggetti dovrebbero essere accreditati presso il ministero del Lavoro, o nel registro nazionale delle associazioni e degli enti che svolgono attività in favore degli immigrati", ha evidenziato l'esponente della giunta Cialente. L'attenzione è stata infine posta sulla sinergia inter-istituzionale, con una maggiore partecipazione dei comuni ("anche con il sostegno dell'Associazione nazionale comuni italiani") ai progetti Sprar, e con il ruolo fondamentale dell'assessorato regionale presieduto da Marinella Sclocco, che potrebbe addirittura legiferare in tal senso.

L'amministrazione comunale di Fossa, ad esempio, potrebbe avviare un progetto Sprar sul proprio territorio comunale, esserne protagonista e governare meglio il processo e il controllo della struttura, piuttosto che subire passivamente il centro di accoglienza straordinario imposto dalla prefettura, con il rischio tangibile dello scontro sociale e della paura collettiva. Lo stesso discorso vale tale e quale per il sindaco di Barisciano che pure nel corso dell'incontro ha sottolineato come "non si riesca a gestire il fenomeno" e "non si sa quello che fanno durante il giorno questi ragazzi". Quello del presunto ozio di cui sarebbero protagonisti molti migranti - in assenza di servizi e attività reali - è sempre una delle maggiori argomentazioni dei critici dell'accoglienza. Gli stessi che, è bene ribadirlo, utilizzano il paradigma "gli italiani sono disoccupati e a loro danno i lavoro", quando i migranti trovano e svolgono attività di qualsiasi natura. Insomma, prima ancora delle strategie per governare il problema, sarebbe auspicabile un cambiamento culturale che liberi dai pregiudizi.

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Marzo 2016 11:44

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