Sono circa 500 gli appartamenti di cui il Comune dell’Aquila è diventato proprietario da quando lo Stato ha dato la possibilità di ricorrere al cosiddetto acquisto equivalente, il meccanismo che consente a chi ha perso, con il terremoto, la prima casa, di comprarne un’altra, in città o anche fuori, cedendo la propria.
Un patrimonio immobiliare sparso tra centro e periferia, destinato, molto probabilmente, ad aumentare. Sì perché sono sempre di più le famiglie che, esasperate dalle lungaggini burocratiche che rallentano la ricostruzione o scoraggiate dalla prospettiva di rimanere a vivere in una città dal futuro più che mai incerto, scelgono di ricorrere alla permuta e di trasferirsi altrove.
Come utilizzare, in futuro, questo enorme surplus abitativo (che va ad aggiungersi a quello costituito dalle migliaia di alloggi di Progetto Case e map) è un nodo che l’amministrazione comunale, prima o poi, dovrà sciogliere.
Va detto che Cialente e l’assessore alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, a suo tempo, si dissero contrari alla norma che autorizzava l’acquisto equivalente anche fuori dal Comune dell'Aquila. Già i terremoti, di per sé, provocano fisiologici fenomeni di spopolamento. Se poi è lo Stato a dare la possibilità e soprattutto i soldi per ricostruire a migliaia di chilometri di distanza, allora si può quasi parlare di un incentivo pubblico all’esodo.
In molti casi la strada per usufruire del diritto all’acquisto equivalente è un percorso a ostacoli disseminato di trappole burocratiche.
Molti cittadini sono incappati in disavventure e brutte sorprese, all’origine delle quali c’è, quasi sempre, una pubblica amministrazione o eccessivamente zelante nell’interpretare restrittivamente alcune norme o, al contrario, confusionaria e negligente.
In questa seconda casistica rientra, ad esempio, la vicenda dei cosiddetti 201 appartamenti, il complesso residenziale condominiale situato in via Francia, a Pettino. Quando le pratiche per l’acquisto equivalente erano ormai avviate e in qualche caso anche concluse, si è scoperto che i proprietari avevano il diritto al titolo di superficie ma non alla proprietà degli alloggi.
Qualche volta, invece, sono gli eccessi di zelo di qualche dirigente a mettere nei guai i cittadini.
E’ quanto accaduto a un lettore di NewsTown che ha voluto segnalarci il suo caso.
“Mia madre” racconta al nostro giornale questo proprietario, che preferisce, però, rimanere anonimo “era proprietaria di un appartamento al piano terra di un palazzo situato vicino via don Giovanni Bosco, a poca distanza dalle mura urbiche. Premetto che, qualche anno prima del terremoto, alla morte di mio padre, parte dell’appartamento era passata, tramite regolare atto notarile, a me e le mie sorelle, anche se mia madre continuava a esserne l’intestataria e a detenere la quota maggiore della proprietà. Dopo il terremoto, essendo molto anziana, mia madre mi aveva fatto una procura per seguire il progetto di riparazione dell’appartamento. Dopo anni di trattative, con i tecnici e il Comune eravamo arrivati, finalmente, a un’intesa per abbattere e ricostruire. Quando, però, abbiamo visto il progetto, ci siamo accorti che questo era, per mia madre, notevolmente penalizzante, visto che le toglieva, tra le altre cose, diversi metri quadri. A quel punto, insieme ad altre famiglie, avevamo scelto di optare per l’acquisto equivalente, che ci era stato accordato, tanto che, a maggio, eravamo rientrati nel 16° elenco”.
La normativa sull’acquisto equivalente prevede che, una volta ottenuto il contributo, i proprietari abbiano 150 giorni di tempo per portare a termine l’acquisto della nuova abitazione.
“Avevamo già firmato, davanti al notaio, l’atto preliminare di compravendita della nuova casa, aspettavamo solo che il Comune trasferisse nel conto corrente dedicato i soldi del contributo. Quando, per mero scrupolo, sono andato a controllare in banca, ho scoperto che la cifra che ci era stata riconosciuta non era stata versata. Tutto ciò accadeva a fine settembre, pochi giorni prima della scadenza dei termini previsti dalla legge. A quel punto sono andato a chiedere spiegazioni sia all’Avvocatura che al settore Bilancio. La risposta che ho ricevuto è stata che il contributo era stato sospeso perché, secondo l’amministrazione, l’appartamento di mia madre era da considerarsi una multiproprietà".
"Ora, a parte il fatto che, quando ci era stato accordato il contributo, questa obiezione non ci era stata mossa, né il Comune né altri si sono preoccupati minimamente di avvisarci o di scriverci per informarci che la pratica era stata sospesa e l’acquisto bloccato. Se non fossi andato, per scrupolo, a controllare, di persona, in banca, non l’avremmo mai saputo”.
Poi, oltre al danno, ecco anche la beffa: “La decisione del Comune ci ha messo nei guai con la ditta che ci ha venduto la nuova casa. Per il momento siamo riusciti a ottenere una proroga ma se la situazione non dovesse sbloccarsi entro la fine del mese, rischiamo di pagare anche una penale. Non senza difficoltà, siamo riusciti a strappare dal Comune una sospensione del procedimento, in attesa che gli uffici competenti facciano nuove verifiche e approfondimenti. Ma è assurdo che, a pochi giorni dalla scadenza dei termini, quando ormai mia madre era pronta ad andare ad abitare nella nuova casa ed era già entrata in possesso delle chiavi, l’amministrazione abbia deciso di bloccare tutto senza nemmeno preoccuparsi di comunicarcelo”.
Alla faccia, come al solito, della trasparenza.