Nei giorni scorsi lo avevano promesso: "Saremo una marea e invaderemo le strade". La partecipazione al corteo indetto dalla rete italiana Non una di meno, progetto politico nato dalle realtà Rete IoDecido, Udi - Unione Donne in Italia, D.i.Re. - Donne in Rete Contro la violenza, non ha deluso le aspettative. Ieri a Roma a manifestare per la fine della violenza maschile contro le donne erano in duecentomila.
Ad aprire il corteo che da Piazza Esedra ha raggiunto San Giovanni solo donne. Nessun simbolo di partito, nessuna appartenenza sindacale. Un piazza autoconvocata fatta di singoli e singole, di famiglie, studenti e studentesse, di associazioni, case delle donne, centri e sportelli Antiviolenza, case rifugio, Consultori autogestiti, collettivi femministi, spazi occupati e collettivi queer. Tutte realtà terriotoriali che da anni mettono in pratica politiche partecipative autonome e che si impegnano per affermare l'autodeterminazione delle donne contro la violenza maschile. Una composizione variegata che, senza la pretesa di costituirsi in blocco unitario e identitario, ieri si è finalmente confrontata, convergendo le diverse forme di autorganizzazione verso un obiettivo comune: riportare le questioni di genere al centro di un processo di cambiamento radicale dell'esistente.
Una piazza matura, portavoce di istanze che da tanto attendevano di tornare al centro del dibattito politico e sociale nazionale. "Un punto da cui partire", è stato più volte sottolineato dalla piazza, nell'intento di considerare la data di ieri non come una manifestazione isolata in occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza maschile sulle donne, ma come la tappa di un percorso propositivo volto alla stesura dal basso di un "Piano antiviolenza nazionale femminista". Un documento programmatico che raccolga in modo organico tutte le modalità di autorganizzazione espressioni del movimento.
Un progetto politico quello che ha dato vita all'appuntamento di ieri che, nato la scorsa primavera sulla scia degli scioperi delle donne in Argentina in Polonia e Spagna nell'ambito di assemblee cittadine, ha acquisito protagonismo e credibilità a livello nazionale. Varie realtà che lo scorso 8 ottobre, in una grande assemblea nazionale svoltasi alla Sapienza, si sono messe in contatto per la prima volta riuscendo a conquistare la comunicazione mainstream e a respingere la narrazione mediatica delle questioni di genere quale problema di ordine pubblico.
Chi è sceso in piazza considera il femminicidio la punta di un'iceberg di una violenza diffusa che affonda le radici in rapporti di potere squilibrati e in pericolosi modelli di genere polarizzati e stereotipati. "E' un fenomeno strutturale e come tale va affrontato", hanno ripetuto nei vari interventi, a sottolineare che la violenza di genere non si consuma solo tra le mura domestiche e non riguarda solo la sessualità. Si è parlato di welfare inaccessibile, della precarietà lavorativa che colpisce soprattutto le donne, della necessità di promuovere l'educazione di genere nell'ambito delle scuole e delle Università, di disparità salariali, di diritto alla salute, di diritto all'aborto.
Tra gli interventi, anche quello del padre di Valentina Milluzzo, morta lo scorso 19 ottobre all'ospedale Cannizzario di Catania dopo 30 ore di agonia insieme ai due gemelli che portava in grembo. "Stiamo combattendo una battaglia contro medici che, appellandosi all'obiezione di coscienza, fanno morire le persone. Mia figlia, ricoverata al quinto mese di gravidanza per una dilatazione dell'utero anticipata, non è stata curata e nemmeno monitorata. Dopo 15 giorni di ricovero Valentina si è sentita male, è emerso che uno dei feti respirava male ed era necessario l'aborto. Ma il medico obiettore che l'ha visitata ci ha detto 'fino a quando il cuoricino batte io non intervengo' ignorando mia figlia che stava morendo - e rivolgendosi alla piazza ha aggiunto - Vi prego,non lasciateci soli in questa lotta".
"Non una di meno non è solo uno slogan - ha detto a NewsTown Graziella della rete IoDecido - Storie come quelle di Valentina Milluzzo dimostrano che oggi in Italia a noi donne è negato il diritto alla salute pubblica, il diritto di abortire, il diritto di partorire e quello di scegliere rispetto alla nostra maternità".
Graziella, medico del Policlinico di Roma, che nel 78, per garantire l'applicazione della 194, ha occupato insieme ai colleghi un reparto dell'ospedale per trasformarlo in ambulatorio di clinica ostetrica, racconta di un diritto alla salute diventato quasi inaccessibile alle donne. "Quello che le donne avevano chiesto con il referendum del 78 era molto di più di quanto poi ci è stato concesso. Puntavamo all'autodeterminazione, alla libera scelta della maternità nella sua complessità. Quando abbiamo occupato il reaprto al Policlinico non solo garantivamo un servizio, dal momento che dopo l'approvazione nessuno applicava di fatto la 194. Organizzavamo anche riunioni con le donne, cercavamo di informare e di formare per ridurre il ricorso all'aborto, una scelta che non è mai fatta per divertimento. La polizia ci ha sbattuto fuori per tre volte. Alla fine hanno posto il repartino di interruzione volontaria di gravidanza sotto sequestro e nessuno, se non le donne che dovevano abortire, è riuscito più a entrare. Oggi il servizio al policlinico è molto ridotto. Ci sono casi di donne costrette a partorire in barella perchè non ci sono più i reparti. In alcuni ospedali i medici sono obiettori sono addirittura il 90% del personale. Ormai i ricatti passano su tutti i fronti. Non è più possibile garantire salute nelle strutture pubbliche se oggi sono più i posti letto privati, convenzionati dalla Regioni e da chi le governa, se le esternalizzazioni e i ricatti sul lavoro continuano a favorire i privati e, di conseguenza, ad annientare i nostri diritti".
Primo passo verso la riconquista di spazi di autodeterminazione è, dunque, la stesura di un Piano antiviolenza nazionale. "Oggi si manifesta anche contro politiche sbagliate - ha affermato l'esponente delle rete IoDecido- Il Piano d'azione straordinario approvato dal Governo l'anno scorso è una presa in giro. I finanziamenti concessi a chi lavora sul territorio sono uno schiaffo in faccia alle donne vittime di violenza. I centri antiviolenza, gli sportelli di ascolto e le case rifugio continuano a chiudere in tutta Italia per mancanza di risorse. All'interno di questo piano inoltre non sono state prese in considerazione le istanze delle donne. Per chi ha subito violenza è certamente fondamentale l'accoglienza e la difesa giuridica, ma è altrettanto indispensabile che, dopo l'accesso a un centro antiviolenza, venga garantita una sistemazione stabile e un'indipendenza economica. Altrimenti si resta per sempre legate a un compagno violento". Sotto accusa anche il sistema pubblico di bandi e convenzioni. "Sono previsti bandi per affidare la gestione dei centri antiviolenza - ha affermato Graziella- Ma se poi entra una cooperativa fascista o filocattolica, come nei consultori che ormai sono pieni di medici obiettori mi dici qual è la vittoria di noi donne?".
Accanto a chi ha vissuto il femminismo storico, in piazza anche le nuove generazioni. Valentina, 23 anni, studentessa di lettere alla Sapienza è convinta che riportare il femminismo al centro del processo di cambiamento sia indispensabile oggi più che mai. "Quando finirò gli studi anch'io dovrò scontrarmi con una precarietà che colpisce le donne più degli uomini. Con il rischio che un'eventuale maternità mi butti per sempre fuori dal mercato del lavoro - ha affermato Valentina - Con il collettivo di lettere stiamo cercando di portare le questioni di genere all'interno dell'Università perchè è dal sistema educativo che deve partire il cambiamento. Stiamo cercando di coinvolgere il corpo docente per promuovere gli studi di genere. Non tutti i professori capiscono che non vogliamo solo parlare di femminicidio, ma che la nostra è una vera e propria rivendicazione politica".
La piazza di ieri, come detto, non è certo una conclusione. Proprio in queste ore a Roma, si sta svolgendo un' assemblea nazionale delle realtà che hanno aderito alla manifestazione. L'incontro articolato per tavoli tematici (migranti, salute, lavoro e welfare, sessismo e movimento, tavolo giuridico, Centri antiviolenza, educazione alle differenze) si concluderà con una plenaria per tentare di razionalizzare le proposte emerse e dare continuità al percorso di elaborazione del "Piano antiviolenza nazionale".
"Puntiamo a uno sciopero delle donne a livello internazionale - hanno affermato le promotrici - Le idee sono chiare e gli obiettivi anche. La violenza contro le donne è un fenomeno strtturale e come tale va affrontato. Bisogna stravolgere il sistema attuale che ci vuole sottomesse a un potere maschilista. La straordinaria partecipazione al corteo dimostra che siamo maturi per affrontare questo cambiamento".