"Le carriole sono la nostra storia" è lo slogan che da ieri sta accompagnando il presidio in corso oggi davanti il tribunale dell'Aquila, a Bazzano, dove si sta per svolgere la seconda udienza del processo alle carriole.
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In quel 2010, a partire da Febbraio - appena rese pubbliche le intercettazioni degli imprenditori che ridevano alle 3e32 e poco dopo che la protezione Civile lasciò il capoluogo abruzzese, successe qualcosa di importante. I cittadini avevano una voglia irrefrenabile di rivedere la città, sentirsela di nuovo propria, accarezzarla e curarla, perché nessuno lo stava facendo. Le piazze erano piene di macerie, chiuse a chiave nella zona rossa. Quel popolo, che il 14 febbraio del 2010 iniziò a forzare il varco dei quattro cantoni e poi il 28 dello stesso mese si rivoltò, irrompendo in Piazza Palazzo per lavorare e ripulirla, è il popolo delle carriole. Sei mila persone, centinaia e centinaia di carriole, secchi, guanti, caschetti, tute bianche da lavoro che, come in un'enorme quanto spontanea performance collettiva, si misero a collaborare.
L'azienda municipalizzata che si occupa della nettezza urbana mise a disposizione i secchi in Piazza Duomo. Si formò allora una catena umana che andava da Piazza Palazzo, in zona rossa, a Piazza Duomo su un corridoio di due file che attraversavano tutto il Corso per passarsi i secchi riempiti di macerie. Al centro le carriole che transitavano avanti e dietro.
Quel giorno l'aria era frizzante, come sempre a L'Aquila, e non era solo per il clima. Si capiva che gli aquilani stavano facendo la storia, la loro storia, per la prima volta da protagonisti e non da comparse, ruolo a cui era stato dato il ruolo definitivo di vittime. Se le piazze poi furono celermente ripulite dal lavoro dei cittadini, e da quello dell'esercito che il Ministero si preoccupò all'improvviso di attivare sotto l'impulso del popolo delle carriole, è grazie alla storia di quei giorni, a quei corpi che sfidarono i divieti per un bene superiore e che si è dimostrato giusto. Tutta Italia vide e trasse ispirazione da quello che stava accadendo. Centinaia di persone, ogni domenica arrivavano da fuori città e fuori regione per dare la loro solidarietà e il loro contributo, come era avvenuto tanti anni prima in occasione dell'alluvione di Firenze.
Oggi il processo, per la giornata del "silenzio elettorale" del 28 marzo 2010, quella del grottesco sequestro della carriola. Chi partecipò allora non può restare indifferente. Ad essere processate non possono essere otto persone. "Arrestateci tutti" recita la seconda parte dello slogan che invita al presidio. Perché le carriole sono davvero la storia di questa città, e la città oggi è dalla parte delle carriole. Come lo è stato anche il maestro Mario Monicelli, presente a L'Aquila il 31 marzo 2010 che - in una delle sue ultime interviste prima di morire - affermò che "si dovrebbero far sorgere dei popoli delle carriole dovunque in Italia". Il grande regista capì l'importanza di quelle manifestazioni, da parte degli aquilani, che "si sono messi insieme e, non si sa come, si sono messi d'accordo, hanno preso una carriola, emblema straordinario di solidarietà e lavoro, e sono andati con forza e determinazione a riprendersi la loro anima, che è la città".