Si arricchisce di un ulteriore capitolo l'intricata vicenda legata ai presunti danni sofferti da due aggregati del centro storico, su Corso Vittorio Emanuele, di cui sono enti esponenziali il Consorzio 'Filomusi Guelfi' e il Consorzio 'Cavalieri di Malta', a seguito della realizzazione del tunnel dei sottoservizi.
In un approfondimento pubblicato qualche giorno fa [potete leggerlo qui], avevamo spiegato che i direttori dei lavori dell'aggregato 'Cavalieri di Malta' - composto da tre subaggregati, di cui due sono ancora in fase di cantiere (partizione 1093 e 1235), ed uno dei due è alle fasi conclusive (il 1093), e il terzo (partizione 1306) è invece agibile e abitato da mesi - avevano evidenziato come la realizzazione dello smart tunnel avesse interessato il sito stradale fino al filo delle murature perimetrali dei fabbricati, "con esposizione delle fondazioni e, in alcuni casi, generando vuoti al di sotto del piano di appoggio delle fondazioni stesse"; l'intervento - unito all'utilizzo di messi cingolati di grandi dimensioni - avrebbe eliminato la componente fondamentale nella portanza del terreno, fornita dal contributo stabilizzante del terreno laterale".
Tra l'altro, "gli scavi avrebbero eliminato anche il terreno interessato dal bulbo delle pressioni al di sotto del piano di spiccato delle fondazioni, modificando uno stato tensionale consolidato da secoli". Nei casi peggiori, si sarebbe verificato persino "il distacco di zolle di terreno di grandi dimensioni, provocando lo smottamento del terreno anche sotto il piano d'appoggio della fondazione". Tali situazioni, sarebbero state tamponate "chiudendo le buche con materiali approssimati, posti in opera senza la dovuta costipazione"; a fine della posa, insomma, gli scavi sarebbero stati reinterrati senza una idonea costipazione per strati, tramite i cingoli dei mezzi pesanti "che si è mostrata efficace soltanto per un modesto spessore".
Ciò significa che per ridare un sostegno alle "porzioni in movimento", l'unica soluzione sarebbe - stando ai tecnici - "una fondazione profonda su micropali"; tale fondazione, "dovrebbe sostenere la totalità del carico trasmesso dalla struttura in elevazione ed essere considerata efficace a partire dalla base del tunnel".
In seno alla Commissione territorio, convocata dal presidente Enrico Perilli per discutere dello stato dei lavori della maxi opera pubblica, il coordinatore generale di Asse Centrale Scarl, Gianni Frattale, il rup Aurelio Melaragni e il presidente della Gran Sasso Acqua, la stazione appaltante, Americo Di Benedetto, avevano contestato, però, la relazione tecnica. In particolare, Frattale ha lasciato intendere che le problematiche riscontrate non fossero dovute alla realizzazione dei sottoservizi, anzi il cantiere dello smart tunnel avrebbe piuttosto svelato criticità che sarebbero emerse col tempo. Poi, sibillino, si era interrogato sul "progetto di adeguamento dell'aggregato, considerato che le fondazioni stanno a 20 centimetri dall'asfalto", sugli interventi di sottofondazione previsti, lasciando intuire che potrebbero esserci lacune progettuali. Infine, ha svelato che - per 4 mesi - l'impresa al lavoro sull'aggregato avrebbe operato con 2 pompe per drenare "la gran quantità d'acqua" stagnante sul piano fondale.
E qui sta il punto: la convinzione di Asse Centrale Scarl, il raggruppamento d'imprese che si è aggiudicato il primo lotto dei lavori per 38milioni di euro, è che il piano fondale sarebbe 'scivolato', al momento dello scavo del tunnel, perché impregnato d'acqua proveniente da un tubo della conduttura che potrebbe essere stato lesionato in fase di consolidamento delle mura dell'aggregato.
Un botta e risposta che ha fatto 'rumore'; tant'è vero che Valentino Perilli, progettista e direttore dei lavori dei subaggregati 1093 e 691, prospicienti Corso Vittorio Emanuele, ha rotto il silenzio, affidando le sue riflessioni a NewsTown. "Sin dal primo momento - ha spiegato - ho segnalato ai realizzatori del sistema di canalizzazioni sotto il piano stradale ed alle istituzioni preposte il dissesto dei piani fondali, avvenuto in concomitanza con i lavori per la messa in opera dei sottoservizi".
Perilli racconta di aver partecipato a incontri e sopralluoghi con gli interessati che - tra l'altro - "hanno avanzato la richiesta, ancorché informale, di entrare nei cantieri. Ho mostrato massima collaborazione anche quando la GSA ha preteso di entrare nei cantieri, nel mese di febbraio, senza formalizzare richieste o esplicitare motivazioni, per effettuare prove, consistenti in chiusure e aperture delle loro condotte esterne, ai cantieri di mia competenza. Dunque, il 3 marzo - ha aggiunto - ho inviato una richiesta, via pec, alla Gran Sasso Acqua per essere messo al corrente 'delle interferenze sul regime idrologico nel sito dell’aggregato di che trattasi connesso con la rete idraulica e/o fognaria, esterna all’area di cantiere, di competenza della GSA'. Ad oggi, non ho avuto risposte".
In questi mesi, Perilli ha rifiutato qualunque colloquio con la stampa "al solo scopo - ha spiegato - di semplificare il processo di ripristino dei danneggiamenti, dovendo porre in primo piano, per mia etica professionale, gli interessi legittimi dei miei clienti, sia limitando il prolungamento dei tempi di riuso dei loro beni, sia assicurando la sicurezza del progetto originario, a esternazioni da cittadino o da tecnico informato. Con lo stesso obiettivo mi sono sempre astenuto, e, nel caso non intervenissero contenziosi, continuerò a farlo, dal dare un giudizio tecnico e/o pianificatorio riguardo il loro progetto o in relazione alla realizzazione dei lavori per la messa in opera delle reti servizio nel centro storico dell’Aquila. Tale compito spetta alle istituzioni tecnico amministrative della città e ai politici, chiamati a esprimersi sulle scelte e sui risultati delle opere pubbliche cittadine".
Chiariti tali aspetti, però, "trovo insopportabile l’atteggiamento dell’impresa appaltatrice e della GSA le quali, attraverso dichiarazioni date alla stampa, stanno tentando sia di gettare un’ombra sul mio operato professionale sia di indicare una mia corresponsabilità sui danni patiti dai fabbricati. Sono state fatte ricostruzioni per nulla aderenti alla realtà riguardo presunte opere di palificazione, mai realizzate, riguardanti l’interno di uno degli aggregati, dove peraltro tutte le utenze private erano state già disattivate prima dell’inizio del cantiere. Queste avrebbero generato perdite tali da produrre una “liquefazione” del terreno, limitatamente alla zona sottostante i due aggregati, al punto da provocare cedimenti fondali. Motivo per cui pretenderebbero di essere ringraziati dei danni che hanno prodotto con lo scavo, in quanto avrebbero portato alla luce il problema. Si consideri inoltre che tali fabbricati, di impianto trecentesco, non hanno avuto il benché minimo problema fondale, neanche con il sisma del 2009".
Ancora più irragionevole - incalza Valentino Perilli - risulta una "presunta lacuna, riferita ad un progetto, di cui essi non sono a conoscenza, il quale è passato al vaglio di tutte le istituzioni preposte. Inoltre da parte mia non era minimamente ipotizzabile, al momento della progettazione e della realizzazione dei lavori, un’escavazione del terreno, che si è spinta sino al di sotto del fabbricato. Di fronte a tali comportamenti - conclude - pur restando al servizio degli interessi dei miei clienti e parte attiva per la composizione del processo di riparazione, nella maniera più celere possibile, non posso permettere che si gettino ombre sul mio operato professionale; motivo questi per cui farò valere nelle sedi opportune tutte le rivalse, per un simile tentativo di discredito della mia immagine professionale".