Altra brutta grana per l'amministrazione comunale.
Il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza pronunciata ieri e pubblicata stamane [puoi leggerla qui], ha accolto il ricorso incidentale della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per L'Aquila e il cratere, sospendendo in via cautelare gli effetti della delibera approvata dal Consiglio comunale il 14 ottobre scorso e riguardante l'annullamento delle deliberazioni consiliari n. 21 dell'11 aprile 2019, n. 12 del 15 febbraio 2018 e n. 109 del 5 dicembre 2016, relative alla ricostruzione dei centri storici del Comune dell'Aquila.
L'udienza di merito è stata fissata per il 25 marzo 2020.
Ricorderete che il Tar, alle fine di luglio, aveva accolto la proposta della Soprintendenza di sospendere in via cautelare gli effetti della delibera del Consiglio Comunale n. 21 dell’11 aprile 2019 d’approvazione definitiva della variante alle Norme Tecniche di Attuazione del PRG; a quel punto, l'assessore all'urbanistica Daniele Ferella aveva deciso, d'accordo con la maggioranza al governo della città, di ritirare l'intero iter amministrativo di variante, che era stato avviato con la deliberazione consiliare numero 109 adottata dall'assise civica il 5 dicembre 2016 di concerto con la Sopritendenza.
Di fatto, si era tornati alle disposizioni del Piano regolatore generale del 1975.
Con l'atto di consiliare di ritiro dell'iter di variante, l'amministrazione sperava di chiudere il procedimento avviato dalla Sopritentendenza che, tuttavia, ha presentato ricorso incidentale: dunque, i giudici hanno stabilito di riunificare i due ricorsi, sospendendo anche gli effetti della delibera dell'ottobre scorso e rimandando la decisione sul merito al 25 marzo.
Ed ora? Ora si dovrà attendere il pronunciamento dei giudici: ad oggi, e fino a quel giorno, dovrebbero restare in vigore le disposizioni introdotte dalla delibera consiliare 109 del 5 dicembre 2016, quella approvata dalla maggioranza di centrosinistra dell'epoca per intenderci. Tuttavia, anche su questo ci sono dei dubbi considerato che le varianti introdotte, così si è potuto apprendere, 'scadrebbero' dopo tre anni. Ed oggi, sono passati esattamente tre anni dall'approvazione. Staremo a vedere.
E' lecito credere che si andrà in proroga fino al pronunciamento dei giudici. Tuttavia, è chiaro che si tratta di una vicenda assolutamente spinosa per la Giunta comunale.
Una questione complessa, che proviamo a ricostruire.
L'iter del provvedimento di variante alle NTA
Con la delibera 109 del 5 dicembre 2016, l’allora amministrazione di centrosinistra si era proposta di salvaguardare, negli interventi di ricostruzione, i pochi edifici di interesse storico che erano sopravvissuti nei centri storici delle frazioni, imponendo, di fatto, il restauro conservativo; si parlava di pochi edifici, a dire il vero, ma meritevoli - venne spiegato - di un intervento più attento per il rispetto del tessuto urbanistico. Con lo stesso spirito, venne eliminato il premio di cubatura previsto dal PRG e, inoltre, si resero regolamento le Prescrizioni per gli interventi nei centri storici allegate al Piano di Ricostruzione. In cambio, si prevedevano (d'accordo con l'USRA) incrementi del contributo di ricostruzione per eseguire interventi più accurati, laddove richiesti, si consentiva di abbassare le quote di pavimento ai piani terra fino a 50 cm, si ammetteva in ogni caso il ricorso a tecnologie costruttive più moderne in caso di gravi condizioni di danno o di edifici già rimaneggiati nel tempo, liberava gli usi.
La proposta originaria, però, aveva subito una prima, importante modifica in sede di approvazione delle controdeduzioni: con un emendamento proposto dall'allora consigliere Daniele Ferella (Lega), oggi assessore all'urbanistica, e dal collega d'opposizione Paolo Romano (Il Passo Possibile) alla deliberazione consiliare numero 2 del 15 febbraio 2018, venne ridotto il numero di edifici da attenzionare.
A farla breve, il provvedimento originario prevedeva che gli edifici che, per epoca di costruzione, dimensioni, sagoma, caratteristiche strutturali e costruttive fossero rappresentativi del contesto urbano di riferimento e delle tradizioni costruttive locali e presentassero i caratteri di rilevanza storica, morfologica, tipologica e percettiva del paesaggio urbano, preliminarmente individuati in quelli realizzati prima del 1930, dovessero essere soggetto di interventi di restauro conservativo e non di ristrutturazione edilizia. Evidentemente, il termine del 1930 faceva riferimento allo studio del Vittorini. Con la modifica apportata a valle dell'emendamento presentato da Ferella e Romano, quel termine venne fatto retrocedere al 1860 e, per questo, si ridusse il numero degli edifici da tutelare.
Intervenne poi un’ulteriore modifica che l’allora assessore all’Urbanistica, Luigi D’Eramo, portò all’attenzione della Commissione territorio e venne poi approvata in Consiglio comunale nell’aprile 2019. Col provvedimento, la Giunta decise di cancellare il termine temporale del 1860 e, dunque, di concedere la possibilità di procedere con la ristrutturazione edilizia anche per gli edifici con vincolo indiretto.
Non solo.
La norma originaria prevedeva un premio di cubatura da utilizzarsi una tantum in ragione dei seguenti parametri: 35% del volume esistente per edifici con volumetria inferiore a 600 mc; 0% per edifici con volumetria da 2.500 mc in su; per i valori intermedi, invece, era previsto si potesse operare per interpolazione lineare; tali volumetrie incrementali, se realizzate fuori dalla sagoma attuale dovevano comunque essere soggette al rispetto delle distanze minime previste dalle singole prescrizioni di zona.
Con la delibera approvata dal Consiglio in aprile, invece, per i valori intermedi si era concesso di operare per interpolazione lineare, senza alcun riferimento ulteriore alle volumetrie incrementali. Tra l'altro, i proprietari di edifici successivi al 1860 potevano sì procedere con la ristrutturazione edilizia fatta salva, però, la sagoma dell'edificio stesso: col provvedimento portato in Consiglio, invece, si autorizzava a procedere fatta salva la volumetria, non più la sagoma.
E' per questi motivi che la Soprintendenza ha presentato ricorso al Tar contro la deliberazione. "Le ultime modifiche sulle norme tecniche delle frazioni ci preoccupano non poco. Questi piccoli centri del territorio non vanno tutelati solo in relazione ai singoli monumenti ma soprattutto per il tessuto che rappresentano. Su questo va tenuta alta l'attenzione perché norme che favoriscono sostituzioni edilizie a tappeto rischiano di portare in modo incontrollato uno stravolgimento del tessuto urbano delle frazioni", aveva chiarito la Soprintendente Alessandra Vittorini.
Dunque, il TAR ha accolto la richiesta di sospensiva fissando l’udienza pubblica per la decisione di merito per il 20 novembre, poi rinviata al 4 dicembre.
A quel punto, “per evitare di tenere ferma la ricostruzione delle frazioni – spiegò l’assessore Ferella – considerato che, comunque andrà, è prevedibile un ricorso della parte soccombente al Consiglio di Stato, con i tempi che finirebbero necessariamente per allungarsi, abbiamo deciso di ritirare in autotutela l’intero iter avviato nel dicembre 2016”.
Si è arrivati così alla delibera consiliare del 14 ottobre scorso che è stata impugnata, di nuovo, dalla Sopritendenza col risultato che il Tar ha sospeso anche questo provvedimento.
Le ragioni dell'amministrazione
A seguito della discussione del provvedimento in Commissione, l’assessore all’Urbanistica aveva voluto motivare le sue scelte ai nostri microfoni, spiegando le sue ragioni.
Innanzitutto, Ferella aveva inteso chiarire che l’amministrazione in carica – ed in particolare il suo predecessore, Luigi D’Eramo – aveva deciso di non ritirare subito in autotutela la delibera 109 del 5 dicembre 2016 “per fare salva la misura, condivisa, di agevolare il cambio di destinazione d’uso verso il commerciale e l’artigianale negli edifici dei centri storici delle frazioni, con l’applicabilità del provvedimento ai fabbricati cielo-terra che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto favorire la rinascita economica delle frazioni”.
D’altra parte, aveva aggiunto l’assessore, al termine del procedimento di variante alle norme tecniche d’attuazione, con la delibera approvata dal Consiglio comunale in aprile poi impugnata dalla Soprintendenza, “si era già tornati, di fatto, all’articolo 46 del Piano regolatore del 1975”, alla conformazione antecedente che obbligava all’utilizzo di procedure di restauro e risanamento conservativo, una situazione che ha causato problemi nella redazione dei progetti di ricostruzione dato che, nei limiti del contributo concesso, era molto difficile garantire dapprima il miglioramento e poi l’adeguamento sismico degli edifici.
In altre parole: la decisione assunta dalla Giunta di ritirare l’iter in autotutela avrebbe avuto, come unica conseguenza, la cancellazione della norma che favoriva il cambio di destinazione d’uso verso il commerciale e l’artigianale: “l’impegno – aveva assicurato a newstown l’assessore – è di approntare un provvedimento in questo senso”.
Ferella si era detto convinto si fosse fatto terrorismo psicologico, paventando il rischio di uno stravolgimento del tessuto urbanistico dei centri storici delle frazioni. “E’ vero, l’articolo 46 del PRG consente l’aumento di cubatura ma si va ad incastrare con il resto del dettato normativo e con le leggi nazionali che impongono vincoli precisi su altezze e distanze, oltre che con la capacità del lotto stesso: insomma, praticamente non può essere sfruttato da nessuno. E’ uno spauracchio. Inoltre, l’eventuale aumento di cubatura è finalizzato all’inserimento di elementi essenziali per l’abitazione: nei centri storici delle frazioni, ci sono edifici che non hanno le condizioni di abitabilità minime. Sia chiaro, lo dico da frazionista: l’obiettivo è conservare la struttura urbana dei centri storici garantendo, però, maggiore sicurezza e migliore vivibilità, altrimenti c’è il rischio di ricostruire scatole vuote”.
Ribadì l’assessore nell'intervista rilasciata al nostro giornale: “Il nostro obiettivo era, ed è, di portare avanti una ricostruzione sicura senza gravare sulle tasche dei cittadini. Essendo il contributo di ricostruzione parametrizzato sulle superfici, con le pertinenze che hanno un riconoscimento economico assai inferiore, e stante l’evidenza che nei centri storici delle frazioni molte superfici erano di pertinenza (pagliai, stalle, cantine e così via), il contributo complessivo che viene riconosciuto all’intero aggregato rischia di non essere sufficiente al completamento dei lavori; d’altra parte, il primo accorgimento per i tecnici è il miglioramento sismico almeno al 60% che assorbe, molto spesso, quasi tutto il contributo. Ciò significa che i proprietari sono costretti a pagare la così detta ‘cifra in accollo’ anche per la prima abitazione. Si tratta di una assurdità”.
Ferella l’aveva già detto all’indomani della sospensiva concessa dal Tar, in conferenza stampa: “ad oggi, nel centro storico dell’Aquila viene pagato, anche ad edifici incongrui, un valore economico su base paesaggistica sebbene non insista alcun vincolo. Così, il valore medio di ricostruzione degli edifici supera i 2 mila euro a metro quadro; al contrario, nelle frazioni il valore economico non viene riconosciuto, e si arriva ad un contributo medio di 1.100 euro circa”, aveva spiegato; “stante le cose, e l’imposizione di legge d’adeguamento sismico almeno al 60%, il risanamento conservativo, che la Soprintendenza vorrebbe imporre, porta ad un accollo medio per i proprietari di 35, 40 mila euro ad edificio. Non è accettabile”. In Commissione aveva ribadito lo stesso concetto: “Se si volesse obbligare al restauro conservativo, la Soprintendenza dovrebbe assumere la responsabilità di concedere l’aumento di contributo, apponendo un vincolo diretto sui singoli edifici. E d’altra parte, col ritorno alle vecchie norme, per il ripristino degli elementi architettonici di pregio, seppure in parte demoliti – parliamo anche soltanto di parti strutturali, non necessariamente si deve demolire un intero edificio: ci può essere anche soltanto l’esigenza di abbattere un solaio – il contributo viene riconosciuto comunque dall’Ufficio speciale”.
Una questione di metodo oltre che di merito
Oltre le posizioni di merito, le opposizioni – ed in particolare i consiglieri Romano, Palumbo e Masciocco – avevano contestato questioni di metodo.
Il ricorso della Soprintendenza muoveva dall’evidenza che il nuovo testo licenziato in aprile dal Consiglio comunale divergesse in maniera sostanziale rispetto a quello adottato con la precedente Delibera 109 del 5 dicembre 2016, e sul quale la Soprintendenza - in ragione delle scelte all'epoca condivise con il Comune e finalizzate al contenimento delle demolizioni e sostituzioni edilizie, favorendo nel contempo gli opportuni interventi per la sicurezza e per l'inserimento di nuove funzioni - aveva potuto rendere il proprio positivo parere. Rilevate tali modifiche, e ritenuto necessario sottoporre alla valutazione del TAR la correttezza dell'iter seguito, si è proposto ricorso per l'annullamento previa sospensiva.
E proprio Palumbo nei mesi scorsi aveva inviato una nota alla segretaria generale Alessandra Macrì denunciando come il testo originale adottato dal Consiglio nel dicembre 2016 avesse ottenuto il parere positivo della Asl, della Soprintendenza e della Provincia che, al fine di pervenire in tempi rapidi alla conclusione del procedimento, aveva addirittura espresso un parere preventivo di non contrasto con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. D’altra parte, già in fase di recepimento e controdeduzioni delle osservazioni in Consiglio comunale, nonostante il parere di regolarità tecnica espresso dal dirigente competente, il capogruppo del Pd aveva sottolineato la forzatura alla procedura con l’approvazione di un emendamento modificativo al testo adottato - quello che retrocedeva i termini 'storici' dal 1930 al 1860 - circostanza successivamente confermata anche dalla Provincia nel verbale del 20 settembre 2018 in cui testualmente si precisava: “… va evidenziata la circostanza che, dopo la sua adozione, allo strumento urbanistico possono essere apportate soltanto le modifiche connesse all’accoglimento delle osservazioni presentate nei termini di pubblicazione e tutte le modifiche ed integrazioni conseguenti al recepimento dei pareri prescritti dalle norme in vigore. Per questo motivo, le modifiche conseguenti all’approvazione dell’emendamento consiliare non possono ritenersi applicabili”.
La giunta, tuttavia, ha deciso di tirare dritto, provando in un qualche modo a piegare le norme concepite a tutela dell’interesse generale alla volontà politica dell’amministrazione: è questo che è stato rimproverato all’assessore Ferella, di aver prodotto una forzatura che, di fatto, ha portato all’impasse che sta vivendo la ricostruzione delle frazioni.
Palumbo aveva poi aggiunto che "la proposta di annullamento in autotutela di tutto l’iter formativo" rappresentava "una pezza, l’ennesima, peggiore dei tanti buchi finora creati sulla variante in questione". Ed i motivi erano molteplici:
- "Sarebbe stato comprensibile - mise nero su bianco nella pregiudiziale presentata in Consiglio comunale - oltre che opportuno, ricorrere all’annullamento in autotutela della delibera n.21 dell’11 aprile 2019 essendo la stessa, l’unica delle tre che si vorrebbe annullare, oggetto di impugnazione dinanzi al TAR. Tuttavia, l’amministrazione, presentando la propria difesa al ricorso della Soprintendenza ha evidentemente ritenuto di poter far valere la bontà delle proprie ragioni. Sembra quindi, quantomeno contraddittoria la decisione di annullare adesso la delibera, insieme alle due precedenti. Tra l’altro il TAR ha fissato l’udienza di merito per il giorno 20 novembre 2019, ovvero tra appena 1 mese, circostanza che consiglierebbe di rimandare qualsiasi valutazione a valle della sentenza del TAR, non escludendo così a priori la possibilità di un esito favorevole al Comune;
- Il ricorso allo strumento dell’autotutela presuppone la tutela di un interesse pubblico che si fa fatica a rintracciare in questa delibera", aveva aggiunto Palumbo. "Come riportato in delibera, infatti, la sospensiva imposta dal TAR all’efficacia della delibera n.21 dell’11 aprile 2019 mira 'a congelare la situazione del territorio aquilano in modo tale che si pretende di mantenere efficaci le misure di salvaguardia corrispondenti alla deliberazione di adozione provvisoria', vigendo così di fatto le stesse norme che hanno scandito la ricostruzione delle frazioni dal dicembre 2016 all’aprile 2019, senza che questo abbia causato rallentamenti";
- di contro, piuttosto che tutelarlo, "l’annullamento delle delibere arreca un danno all’interesse pubblico, rimuovendo per i proprietari dei piani terra dei centri storici delle frazioni la possibilità, prevista nella variante approvata, di trasformazione in una destinazione d’uso commerciale o artigianale, e la conseguente possibilità per gli stessi di partecipare al bando Fare centro;
- inoltre, tra le motivazioni addotte a giustificazione della necessità di annullamento delle delibere si dice incredibilmente che "l’attuale situazione di incertezza conseguente all’iniziativa giudiziale del MIBAC incide negativamente sull’elaborazione, ormai in fase avanzata, del nuovo piano regolatore generale tenuto conto della prevedibile sovrapposizione dei tempi della adozione del nuovo PRG ed i tempi del giudizio amministrativo, quando invece l’adozione del nuovo PRG sarebbe la strada più lineare per risolvere la situazione di incertezza determinatasi a causa di una continua forzatura della procedura prevista, superando di fatto le norme attualmente vigenti.
Se si intendeva modificare l’impostazione dettata dalla passata amministrazione nel dicembre 2016, l’ha ribadito anche il capogruppo di Articolo 1 Giustino Masciocco, bisognava avviare piuttosto un nuovo iter di variante alle Norme tecniche d’attuazione.
Sta qui la critica di metodo.
Detto ciò, va tenuto bene a mente che le pratiche afferenti alle frazioni del Comune dell'Aquila che non hanno ancora iniziato l’iter istruttorio sono soltanto 300; altrettante, più o meno, quelle in attesa della scheda parametrica parte seconda. Insomma, siamo alla coda della ricostruzione e la decisione di introdurre modifiche ora, infilandosi in contrapposizioni che potrebbero portare ad altre impugnazioni dei provvedimenti che si stanno assumendo, lascia davvero il tempo che trova.