E' il pomeriggio del 18 gennaio 2017: l'Hotel Rigopiano - resort ai piedi del Gran Sasso - viene travolto e distrutto da una slavina. Sotto le macerie restano i corpi senza vita di 29 persone. Quattro anni dopo, i familiari delle vittime chiedono ancora verità e giustizia.
In quei giorni, l'Abruzzo era stato colpito da un'intensa ondata di nevicate; i comuni ai piedi del versante pescarese del Gran Sasso erano isolati, l'energia elettrica andava e veniva; interrotta la strada verso l'albergo, situato a 1.200 metri d'altezza. Il 18 gennaio, dopo una serie di scosse di terremoto di magnitudo 5.0, una slavina di neve si distaccò dal massiccio orientale del Gran Sasso; dopo aver raggiunto valle, l'enorme massa da 120 tonnellate si abbattè sul resort, tra le 16:30 e le 16:50, sfondandone le pareti e sommergendolo quasi completamente.
La struttura alberghiera ospitava 40 persone: 28 clienti, tra cui 4 bambini, e 12 membri dello staff.
Già dal giorno prima, isolati dalle nevicate violente che si erano abbattute sull'albergo, alcuni tra gli ospiti avevano chiesto di lasciare la struttura. Il proprietario, Roberto Del Rosso, fu il primo a inviare una richiesta d'aiuto per liberare la strada intorno al resort; poco dopo, l'amministratore del resort Bruno Di Tommaso inviò una mail alla Provincia, alla Prefettura, alla Polizia provinciale e al Comune di Farindola denunciano una situazione "davvero preoccupante". Gli appelli rimasero senza risposta. Lo spazzaneve, che in un primo momento avrebbe dovuto liberare la strada verso il resort alle 15, rinviò fino alle 19. Non arriverà mai: alle 16:50 la valanga aveva già travolto la struttura.
La ricostruzione delle prime telefonate d'aiuto rivelerà, fin da subito, una serie di equivoci che, in quei concitati momenti, di fatto portarono la prefettura a ipotizzare un falso allarme. La prima telefonata è delle 17:08: Giampiero Parete, un cuoco ospite della struttura, illeso perché nel parcheggio esterno dell'albergo, lancia l'allarme al 118: dice che c'è stata una valanga e che l'albergo è crollato. Alle 17:10 la prefettura chiama l'hotel, ma nessuno risponde. Alle 17:40 una funzionaria della prefettura contatta il direttore dell'hotel, Bruno Di Tommaso, che però è a Pescara e dice di non sapere nulla, tranquillizzando la donna e spiegando che "l'hotel è a posto (e che) non gli risulta che sia successo niente". Alle 18.03 Parete chiama il suo titolare, Quintino Marcella, e lo informa della situazione; Marcella fa diverse telefonate al 112 e al 113. Alle 18:08 e alle 18:20 Marcella parla per due volte con la prefettura di Pescara, ma in entrambi i casi la funzionaria, che già aveva contattato Di Tommaso, liquida la richiesta d'aiuto come un falso allarme.
Solo alle 18:57, quando sono passate più di due ore dal crollo, un volontario della protezione civile crede al racconto di Marcella e la macchina dei soccorsi si attiva.
Una trentina di uomini del soccorso alpino, della Guardia di finanza e dei Vigili del fuoco si muovono da Pescara (a 32 chilometri di distanza) e da Penne (9 chilometri) tra le 19:30 e le 20; le vie di comunicazione verso l'hotel sono interrotte e la turbina usata per spazzare la strada impiega più tempo del previsto. I soccorritori decidono di raggiungere il luogo dell'incidente con le ciaspole e arrivano nei pressi dell'hotel alle prime luci dell'alba del 19 gennaio, mentre gli uomini con i mezzi di soccorso saranno sul posto solamente intorno a mezzogiorno.
Giampiero Parete e il tuttofare dell'hotel Fabio Salzetta, che al momento della slavina erano all'esterno dell'albergo, vengono recuperati dagli uomini del soccorso alpino. Il resto delle persone verranno tirate fuori dall'hotel nelle ore successive.
Le operazioni di recupero termineranno il 25 gennaio, sette giorni dopo la slavina. Il bilancio ufficiale conterà 29 morti e 11 sopravvissuti.
Il 23 gennaio 2017, a operazioni di soccorso ancora in corso, la Procura di Pescara comunica l'apertura di un'inchiesta sulla vicenda. Si tratta di un fascicolo unico contro ignoti per disastro colposo e omicidio plurimo. Titolari dell'indagine sono il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e il pm Andrea Papalia, che fanno rientrare nell'incartamento tutti gli aspetti relativi alla vicenda, compresa la costruzione dell’albergo e le vie di accesso. Tedeschini precisa anche quelli che saranno altri temi dell'indagine: le comunicazioni telefoniche, via Whatsapp e scritte, nonché la vicenda delle mail inviate da De Tommaso, i ritardi dei soccorsi e il Piano Valanghe.
Due giorni dopo, con i risultati delle autopsie effettuate sui primi sei corpi ritrovati, la Procura fa il primo punto sulle indagini: "Molti sono morti per schiacciamento – rivela Tedeschini - altri per varie concause: schiacciamento, asfissia, ipotermia. Ma nessuno è deceduto per solo assideramento".
Il 27 gennaio sei persone vengono iscritte nel registro degli indagati dalla Procura di Pescara, per omicidio colposo e lesioni colpose. Tra gli indagati, il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e il direttore dell'albergo, Bruno Di Tommaso, quest'ultimo indagato anche per atti omissivi in ambito di sicurezza sul lavoro. L'inchiesta della Procura pesarese si allarga ulteriormente il 23 novembre 2017 quando le persone iscritte nel registro degli indagati diventano 23. Ai nomi eccellenti della prima tranche d'inchiesta si aggiunge, fra gli altri, quello dell'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, al quale viene imputato un colpevole ritardo nelle operazioni di soccorso. I reati ipotizzati in questa seconda tranche vanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all'omicidio e lesioni colpose, all'abuso d'ufficio e al falso ideologico, alla rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
L'indagine, condotta dal procuratore Massimiliano Serpi e dal pm Andrea Papalia, è suddivisa in quattro filoni che riguardano i ritardi nell'attivazione della macchina dei soccorsi, la gestione dell'emergenza, la realizzazione del resort e la mancata realizzazione della Carta per il pericolo delle valanghe.
Un anno dopo, il 26 novembre 2018, l'inchiesta si conclude con 25 indagati, tra i quali ci sono l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, il presidente della provincia di Pescara, Antonio Di Marco, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e la società che gestiva l’hotel, la Gran Sasso Spa & Beauty. I reati ipotizzati sono disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione d’atti d’ufficio, abuso in atti d’ufficio e vari reati ambientali.
Nel frattempo, i magistrati Massimiliano Serpi e Andrea Papalia si dedicano a un secondo filone d'inchiesta su un presunto tentativo di depistaggio da parte dell'ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo e di sei funzionari della prefettura.
Il 6 febbraio 2019 la Procura di Pescara ha chiesto il rinvio a giudizio, e il 3 dicembre dello stesso anno il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pescara ha disposto l’archiviazione delle accuse nei confronti di 22 persone indagate; le archiviazioni riguardano i principali politici coinvolti nell’inchiesta, gli ex presidenti dell’Abruzzo Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi, e l’ex sottosegretaria alla Giustizia, Federica Chiavaroli. Nell’ordinanza del giudice, riportata dal Messaggero, si legge che ai politici non fu indicata dai responsabili tecnici della regione "la necessità di procedere nel più breve tempo possibile alla formazione di una Carta di localizzazione probabile delle valanghe estesa anche all’area del comprensorio di Farindola/Rigopiano" e perciò il presidente di Regione e l’assessore delegato alla Protezione civile che si sono succeduti nel governo dell’Abruzzo "non possono ritenersi responsabili per non aver emanato, in tempo utile, i provvedimenti necessari per la formazione" di una apposita Carta delle valanghe.
Rimangono a processo, ma soltanto per alcune ipotesi di reato, l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, Andrea Marrone, consulente incaricato per adempiere le prescrizioni in materia di prevenzione infortuni, Bruno Di Tommaso, legale responsabile della Gran Sasso Resort & Spa, e Carlo Giovani, dirigente della protezione civile. È stata archiviata invece la posizione di Daniela Acquaviva, funzionaria della prefettura di Pescara che aveva risposto alla prima telefonata d’allarme del ristoratore Quintino Marcella, la quale però resta imputata nel procedimento bis per depistaggio.