Si è svolta ieri l'udienza dibattimentale nel procedimento avviato dalla Procura regionale della Corte dei Conti dell'Aquila nei confronti del sindaco del capoluogo abruzzese Massimo Cialente, dei due assessori Alfredo Moroni e Fabio Pelini, e della dirigente comunale Patrizia Del Principe. La contestazione del procuratore Roberto Leoni riguarda il presunto danno erariale che avrebbero prodotto gli imputati, a causa dei "mancati risparmi" nella riscossione del canone di compartecipazione (una sorta di affitto) e dei canoni per le utenze nelle aree del Progetto Case post-sisma all'Aquila. La cifra è di quelle importanti: quasi 12 milioni di euro, somma per canoni di affitto e utenze che molti dei cittadini delle aree Case non avrebbero mai pagato, senza per questo essere sfrattati dal Comune dell'Aquila.
Ieri, dicevamo, l'atteso dibattimento, che ha visto la requisitoria di Leoni e, a seguire, circa tre ore di arringhe difensive degli avvocati Carlo Benedetti (il presidente del consiglio comunale è avvocato di Cialente e Moroni), Claudio Verini (per Del Principe), Francesco Rosettini e Roberto Colagrande (per Pelini).
"E' andata piuttosto bene - afferma Benedetti a NewsTown - crediamo che il danno erariale di cui parla l'accusa sia virtuale, consisterebbe in un mancato risparmio, ma non si sa bene di cosa. Infatti, se l'amministrazione avesse sfrattato i morosi, questi ultimi avrebbero comunque ricevuto il contributo di autonoma sistemazione o un alloggio in albergo. In ogni caso non ci sarebbe stato un risparmio".
I quattro sono accusati di aver provocato al Comune dell'Aquila un danno erariale da quasi 12 milioni di euro (11 milioni e 871 mila la cifra esatta) per non aver dato esecuzione a due delibere, la 171 e la 172 del 2011, votate dal consiglio comunale per fissare i paletti dei pagamenti dei cosiddetti canoni di compartecipazione spettanti agli assegnatari degli appartamenti Case, Map, fondo immobiliare e affitto concordato.
Quelle delibere, tra le altre cose, prevedevano l'obbligo, da parte del Comune, di sfrattare i morosi e gli insolventi e di riassegnare gli alloggi tolti a questi ultimi ai percettori del contributo di autonoma sistemazione. I casi contestati dalla Procura della Corte sono 817. Nelle 35 pagine dell'atto di citazione in giudizio - di cui questo giornale ha dettagliato nel luglio scorso - si legge che il danno erariale "non si riferisce alla mancata riscossione di canoni di compartecipazione e di canoni d’utenza vari dovuti dagli occupanti degli immobili. Il danno è invece quello del tutto attuale e non più emendabile, della mancata esecuzione delle delibere consiliari (171 e 172 del 2011) in base alle quali l’insolvenza protratta per il termine ivi stabilito avrebbe provocato la perdita del diritto di occupazione: conseguentemente gli immobili resisi liberi a seguito della perdita del diritto da parte degli insolventi (molti), avrebbero potuto essere assegnati ai percettori del contributo di autonoma sistemazione (Cas) derivandone il risparmio".
Ad ogni modo, secondo Benedetti anche la morosità oggetto del procedimento - più di 11 milioni di euro - sarebbe stata quasi completamente recuperata: "Erano 11 milioni al 1 gennaio 2013 - afferma - al 15 novembre 2014, invece, si è passati a circa 1,1 milioni. Inoltre, la metà di questi non sono esigibili dal Comune, perché riguardano ultra 65enni, appartenenti a fasce sociali ed economiche deboli ed ex assegnatari di alloggi popolari". Infine, sempre secondo l'esponente del Pd aquilano, i restanti 600mila euro possono "essere recuperati in qualsiasi momento, perché il debito non è prescritto".
Benedetti, insomma, si dice ottimista, in vista della sentenza, che dovrebbe arrivare tra gennaio e febbraio prossimi.
La citazione in giudizio per i quattro fece molto rumore nel corso della scorsa estate, tanto da indurre Cialente a scrivere una lettera dai toni infuocati, indirizzata, tra gli altri, persino al Presidente della Repubblica. Una missiva che parlava di "sfratto dei disperati" e di sconvolgimento sociale del territorio aquilano, nel caso in cui avesse adempiuto ai diktat della delibera e dunque agli sfratti dei morosi del Progetto Case. Una tesi che non convinse affatto Leoni che, nell'atto di citazione in giudizio, considerò le argomentazioni difensive di Cialente "non sostenibili, pretestuose e prive di riscontro nella realtà dei fatti".