C'era tempo fino a sabato 10 gennaio per impugnare il decreto 'Sblocca Italia', voluto dal Governo Renzi e trasformato in legge dal Senato nel novembre scorso. E sono sei le Regioni italiane che hanno deciso di rivolgersi alla Corte Costituzionale, rispondendo all’azione promossa congiuntamente dagli ambientalisti di FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo e WWF: oltre all'Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto.
In particolare, la battaglia è intorno ai contestati articoli 37 e 38 che scelgono oggi le trivelle per fare cassa a spese dell’ambiente, ipotecando lo sviluppo del turismo e della pesca sostenibile. Condannando così il paese all'arretratezza di un’economia basata sul consumo intensivo di risorse non rinnovabili e concentrata in poche mani. "Un vero e proprio assalto finale delle trivelle al mare che fa vivere milioni di persone con il turismo; alle colline dove l’agricoltura di qualità produce vino e olio venduti in tutto il mondo; addirittura alle montagne e ai paesaggi sopravvissuti a decenni di uso dissennato del territorio. Basti pensare che il Governo Renzi rilancia le attività petrolifere addirittura nel Golfo di Napoli e in quello di Salerno tra Ischia, Capri, Sorrento, Amalfi e la costiera Cilentana, dell’omonimo Parco Nazionale", hanno denunciato i comitati, le organizzazioni e le reti sociali di tutta Italia.
"Le grandi opere con il loro insano e corrotto 'ciclo del cemento' - hanno spiegato - continuano ad essere il mantra mentre interi territori aspettano da anni il risanamento ambientale". Il dramma è che il 'sistema Mose', l'approccio emergenziale ben noto ai terremotati aquilani, diventa la regola, con commissari e 'general contractor' che gestiranno grandi aree urbane in tutto il Paese. "Questo Decreto anticipa nei fatti le peggiori previsioni della modifica della Costituzione accentrando il potere in poche mani ed escludendo le comunità locali da qualsiasi forma di partecipazione alla gestione del loro territorio. Il provvedimento si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano complessivo di privatizzazione e finanziarizzazione dell’acqua e dei beni comuni che il Governo sembra voler definire compiutamente con la legge di stabilità".
Lo 'Sblocca Italia' è stato molto discusso, in particolare, qui in Abruzzo. Il decreto infatti potrebbe dare il via libera a numerosi progetti di estrazione petrolifera su 4.200 chilometri quadrati interessati da istanze di permessi di ricerca in terraferma, e ai tre procedimenti in corso per l’attivazione delle piattaforme off shore Ombrina Mare 2, Elsa 2, Rospo Mare 2. Riconosciute dal decreto come 'strategiche' e meritorie di procedure 'chiare ma commisurate alla natura di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità' per poter attuare la strategia energetica nazionale.
Il decreto ha creato una vera e propria spaccatura politica, tra il Governo regionale - quasi un monocolore Pd, se non per l'assessore all'ambiente Mario Mazzocca (Sel) - e i parlamentari democrat che, alla Camera e in Senato, hanno votato il via libera al provvedimento proposto dal Governo guidato dal segretario nazionale del Partito Democratico.
"Avevamo sperato nella possibilità di giungere ad una revisione della legge attraverso un percorso di mediazione - ha spiegato proprio Mazzocca - intrapreso con le altre regioni della fascia adriatica e coordinato dal presidente della Regione Basilicata, Pittella. Ma non abbiamo avuto riscontri positivi e così la decisione di ricorrere alla Suprema Corte appare ineludibile. D'altronde, abbiamo sempre sostenuto che la strada da percorrere è quella della sostenibilità ambientale e non certo quella che punta sulle energie fossili. Un orientamento recepito, con nostra soddisfazione, anche dal Consiglio regionale che all'unanimità, nella seduta del 30 settembre scorso, ha votato una Risoluzione con cui impegna Presidente e giunta regionale ad impugnare la legge di conversione del decreto Sblocca Italia nelle pari ritenute incostituzionali".
Come sostenuto e richiesto dalle associazioni ambientaliste, l'Abruzzo e le altre Regioni che hanno promosso il ricorso hanno deciso di contrastare la forzatura dirigistica, voluta dal Ministero dello Sviluppo Economico, e contraria al Titolo V della Costituzione, che bypassa l’intesa con gli Enti e stabilisce corsie preferenziali e poco trasparenti per le valutazioni ambientali e per il rilascio di concessione uniche di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Nello specifico, i punti contestati, relativi alle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, violano gli articoli 117 (III° comma) e 118 (I° comma) della Costituzione, in quanto prevedono nuovi principi per la concessione dei titoli minerari che, di fatto, avocano al Ministero competenza esclusiva, liberandolo dall'intesa con le regioni interessate. "Dunque un'aperta violazione - ha commentato Mazzocca - del principio di leale collaborazione sancito dalla Carta Costituzionale. Non dimentichiamo che la giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito che il potere dello Stato, anche quando ricorre la chiamata in sussidiarietà, è condizionato dal raggiungimento dell'intesa con le regioni, in quanto 'atto espressivo del principio di leale collaborazione'. Riteniamo poi incondivisibili - ha aggiunto l'assessore - le disposizioni stabilite dallo 'Sblocca Italia' che trasferiscono d'autorità dalle Regioni allo Stato la competenza amministrativa in materia di VIA sulle attività a terra, senza che venga tenuta nel debito conto la necessità di esaurire le procedure già in corso presso le amministrazioni che le hanno avviate. Di fatto, la 'ratio' che anima la legge su questa materia sconta ritardi politici e culturali, gli stessi che hanno impedito di vedere nella tutela ambientale la grande risorsa per il nostro territorio. Una visione nella quale, al contrario, noi crediamo e che intendiamo perseguire, consapevoli che la petrolizzazione è figlia di una cultura obsoleta e ormai sconfessata dalle normative internazionali".
Bisogna ricordare che, secondo stime di Assomineraria, l’upstream, cioè la filiera di esplorazione e produzione (E&P) in Italia ed estero, vale il 2.1% del Pil italiano e con lo 'Sblocca Italia' comporterebbe un aumento sul Pil dello 0.5%, mentre secondo il rapporto “World Travel & Tourism Council”, l’Italia ha ricavato nel 2013 dalle attività turistiche (compreso l’indotto) il 10.3 del proprio PIL.
Paolo Maddalena, classe 1936, magistrato, giurista e giudice costituzionale, specializzato, fra le altre cose, in diritto romano, diritto amministrativo e costituzionale e diritto ambientale, ha svolto numerose istruttorie su temi ambientali, facendo parte del settore Ecologia e Territorio presso la Corte Suprema di Cassazione. E' vice-presidente emerito della Corte Costituzionale: dunque, la sua, è una voce del tutto autorevole sia in materia legislativa che ambientale.
Maddalena ha spiegato: “Si deve sapere che lo 'Sblocca Italia', che antepone l’interesse delle imprese ai reali bisogni del popolo italiano, è una legge per più versi incostituzionale. Per quanto riguarda le trivellazioni petrolifere, è da sottolineare che si tratta della violazione di un bene “primario ed assoluto” (sentenza della Corte costituzionale n.151 del 1986, confermata da molte altre sentenze successive) e cioè l’ambiente marino, e quindi della violazione degli articoli 9 e 117, comma 2, lett. s), della Costituzione, i quali impongono la tutela del paesaggio, dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali e naturali. Le cosiddette ‘deroghe’ non hanno valore in questo campo, poiché si tratta di diritti inviolabili di tutti i cittadini, considerati come singoli e come parti della collettività (art. 2 Cost.). È indispensabile che singoli o associazioni o comitati da tempo radicati sul territorio impugnino davanti al Giudice amministrativo i provvedimenti amministrativi che autorizzano dette trivellazioni, chiedendo di rimettere gli atti alla Corte costituzionale per un giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Non c’è tempo da perdere. Questo Sblocca Italia è una vera tragedia".