Ambiente contro economia. Utopie contro necessità. L'attuale sistema economico, educativo e culturale ci ha abituati ad un'eterna lotta. A questa va aggiunta una sana vena di egoismo e indifferenza verso l'altro, indispensabile per la sopravvivenza: una questione, insomma, assume le reali sembianze di un problema, nel momento in cui ci tocca da vicino. Inutile dire che, nella società moderna, i meccanismi sono molto più sottili e passano facilmente inosservate questioni di vitale importanza che cambiano e potrebbero cambiare per sempre la nostra vita. "Se brucia la casa del tuo vicino, la cosa ti riguarda, e molto" per dirla come farebbe Orazio.
Tuttavia, nell'epoca del "lavora e consuma", il sistema economico si è subdolamente impadronito della parola "benessere" e così tendiamo a dimenticare come questo non possa non coincidere con la vivibilità dell'ambiente che ci circonda. Vivibilità che, abbiamo più volte ribadito, inizia dalle nostre città e dal modo in cui scegliamo di viverle. Ma abbandoniamo per un attimo congetture eco-sostenibili e fermiamoci al pratico.
Nel 2014, l'Istat ha realizzato un'indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema: ha contato ben 50 mila 724 persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l'indagine. Sempre secondo i dati Istati, nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) ha vissuto in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente). Cifre e percentuali che nascondono un disagio profondo della nostra società e infinite implicazioni [qui il dossier della campagna "Miseria Ladra" dell'associazione Libera].
In un interessante articolo di Roberto Morassut, comparso su L'Unità il 22 agosto del 2011, si parlava di edifici abbandonati come rilancio per l'economia del Paese. Nello specifico, si proponeva di mettere questi beni "a bando pubblico per far lavorare impresa sociale e cooperativa nel campo dei servizi sociali, della cultura, della formazione, dell'housing sociale, della valorizzazione ambientale e della produzione agricola di qualità". Secondo Morassut, caserme, casali, terreni, aree edificabili, edifici pubblici dismessi sarebbero potuti diventare "la leva strategica per far decollare attività imprenditoriali e per creare lavoro nel campo delle iniziative di welfare e per contrastare nelle città e nelle campagne il crescente impoverimento e il calo strutturale del ceto medio e delle famiglie di cui tutti parlano ma senza inventare uno straccio di proposta innovativa per contrastarlo".
D'altra parte, la soluzione non è che il rovescio della medaglia del problema stesso: la crescente crisi ha portato molti manufatti industriali e simili alla chiusura ed al successivo abbandono, in un circolo vizioso che non ha avuto benefici ne' per i lavoratori, ne' per la comunità e, in alcuni casi, neanche per l'ambiente. Per questa sesta puntata di Senza destinazione - il viaggio tra i luoghi abbandonati del territorio aquilano - rimaniamo in città e parliamo dell'ex-Parco Scientifico Tecnologico d'Abruzzo.
Ex-Parco Scientifico Tecnologico d'Abruzzo (via Carlo Confalieri, L'Aquila)
La struttura ospitava, sin dagli anni Ottanta, una scuola professionale regionale. La scuola, inizialmente denominata Inapli, rimase attiva fino al terremoto, offrendo diversi corsi: per parrucchieri, estetisti ma anche metalmeccanici o giardinieri.
Nel 1993 arriva il Parco Scientifico Tecnologico. Il primo esempio di questa tipologia di consorzio è registrato negli anni Sessanta, in America, in quella che oggi chiamiamo la Silicon Valley. Per "Parco Scientifico Tecnologico" si intende un ente che promuova e coordini le attività tra il mondo della ricerca e quello delle imprese, favorendo il trasferimento di conoscenze e competenze, la competitività del territorio in cui operano e stimolando la nascita di nuove realtà imprenditoriali e l’affermazione di quelle già esistenti. Questo modello di produzione arrivò in Italia solo negli anni Novanta.
In una mappatura di queste strutture, a cura dell'Apsti (Associazione Parchi Scientifici Tecnologici Italiani), si leggevano le caratteristiche relative al Parco di via Confalonieri: "I progetti spaziano dal monitoraggio della qualità dell’aria, alla riqualificazione naturalistico-ambientale della Val di Sangro, allo studio di una tecnologia innovativa per la produzione dell’idrogeno, all’analisi dell’efficienza energetica nelle costruzioni edili". Ricerca e lavoro venivano svolte in moltissimi campi del sapere - agroalimentare, ambiente e territorio, edile ed energetico, sicurezza nei trasporti, elettronica, meccanica, chimica, ingegneria di processo - e per ognuno la struttura disponeva di attrezzature all'avanguardia. Un gioiellino per la tecnologia e l'economia abruzzese. Qualcosa, però, non andava e nel 2006 la Regione esce dal consorzio - di cui facevano parte anche enti locali, università e privati - lamentando una posizione residuale, data dalla revisione dello statuto del 2003. Successivamente, nel 2007, il Parco resta nelle sole mani dei privati.
Così quando arriva il sisma del 2009, la crisi è già nell'aria e la struttura chiude i battenti, lasciando a casa 130 ricercatori. Due anni dopo, nel luglio 2011, giunge la notizia di un'inchiesta giudiziaria della procura della Repubblica dell’Aquila che coinvolgeva ben 39 indagati, chiamati a rispondere dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, malversazioni, falso in scrittura privata e sostituzione di persona.
In particolare erano state rilevate "illecite distrazioni di fondi erogati dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali destinati a favorire l’impiego di 50 neolaureati in Ingegneria ed Economia e commercio, attraverso un progetto, denominato “Giovani Innovazione”, realizzato e gestito dal Parco stesso". Si trattava di quasi 500mila euro (di 1milione 300mila euro) che venivano distratti e dirottati nella disponibilità di alcune imprese componenti del consorzio. Il 29 gennaio del 2014, il giudice Marco Billi ha dichiarato l’estinzione del reato per Benigno D’Orazio, ex presidente del Parco scientifico, ex consigliere regionale e attuale presidente del Parco del Cerrano. Prescrizione anche per altri sei indagati nell'aquilano, per fatti risalenti dal 2004 al 2008.
Come spesso accade però, resta un grande edificio nella periferia aquilana, a ricordarci i nostri errori. Vetri rotti, mattoni caduti, pareti crollate: il complesso, fortemente lesionato dal sisma, appare fermo nel tempo, circondato da rifiuti di ogni tipo, tra cui materassi, frigoriferi e motorini. Parti della struttura cominciano a cedere, a causa dell’azione erosiva degli agenti atmosferici, mentre la natura sembra si stia lentamente riprendendo ciò che gli spetta.
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