Venerdì, 08 Gennaio 2016 19:42

"L'Aquila reboot", come si riavvia una città in ricostruzione?

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Un po' a sorpresa alcuni giornali nazionali sono tornati negli ultimi giorni a fare il punto su L'Aquila in un'inedita 'sessione invernale' distinta da quella classica dell'anniversario del 6/4.

Contributi apprezzabili, in particolare quello di Repubblica (1, 2) per il buon punto di vista, che hanno positivamente suscitato nuovo dibattito, ma che usano parole e concetti già spesi - purtroppo a vuoto da sei anni - da molti che vivono questo territorio. Nemo propheta in patria, verrebbe da dire.

Più volte si è parlato, su queste pagine e non solo, del ritardo drammatico di una politica troppo spesso priva degli strumenti adeguati per comprendere ed agire nella dimensione sociale presente, sempre proiettata in annunci sul futuro ("tra dieci anni sarà una città bellissima!"), che rischia di non comprendere, però, le contraddizioni che oggi i quotidiani nazionali ci ricordano tra rischio spopolamento e insostenibilità, evocando la distopia "Pompei".

Contradidzioni fatte emergere sin dall'immediato post sisma da parte della cittadinanza più vivace, da alcuni giovani, associazioni e professionisti. Anche tra queste pagine si è cercato di analizzare più volte i limiti di una situazione come quella aquilana, tirando in ballo addirittura Detroit, provando ad elaborare teorie pertinenti come quella di "inter-città"  o invocando provocatoriamente un Assessorato "al presente".

Un presente forse mai così lontano in cui, come riportato in questi giorni, l'Istat ha annunciato un calo della popolazione nel capoluogo dai 70.144 del gennaio 2015 ai 69.858 dello scorso agosto, dato che gli conferisce - di poco - effettivamente il primato in spopolamento tra i quattro capoluoghi di provincia, ma che riflette il calo generale in Abruzzo, che complessivamente perde poco più di 4mila abitanti e dopo tanto tempo registra un saldo migratorio negativo (-0,02%) , in controtendenza rispetto al +0,03% nazionale.

Ma se da un lato il monitorare questi numeri ha sempre un senso, lascia però un po' il tempo che trova scervellarsi sul comprendere quanti abitanti ha L'Aquila oggi dato che, per le sue caratteristiche di territorio che ha subito una recente catastrofe, il numero di residenti sarà verosimilmente - almeno per un po' - in continuo mutamento, come d'altra parte l'identità della città. Perché se alcuni cittadini stanno andando via a causa dell'estrema precarietà, altri stanno arrivando, e forse prenderanno la residenza e resteranno qui. O forse no.

Dalla polvere della ricostruzione è possibile che L'Aquila si ritroverà abbastanza diversa anche nel suo sangue, soprattutto in virtù della manovalanza straniera in continua crescita tramite le classiche catene migratorie. In tal senso c'è da augurarsi piuttosto che si sia capaci di promuovere la giusta integrazione per scongiurare un contesto di degrado, segregazione e turbolenze stile "Gangs of (New) L'Aquila", iperbolicamente simile a quello di New York raccontato dal regista Scorsese. Come? Governando la transizione. Di certo, la politica deve fare il suo dovere garantendo una maggiore redristibuzione della ricchezza, o meglio del flusso di denaro che attraversa questa città in modo da avere più walfare e servizi (in particolare i trasporti, data l'incredibile estensione orizzontale) per tutti, facendo - per quello che ancora è possibile - della ricostruzione un'opportunità di lavoro.

Questa è la sfida, ed è di certo più importante che "recuperare" il passato trecentesco inseguendo concetti di bellezza "suprema", come NewsTown si è trovata più di una volta a sottolineare. Parole non dissimili tutto sommato da quelle apparse su La Repubblica dello storico dell'arte Tomaso Montanari, che pragmaticamente scrive: "Il futuro dell'Aquila si gioca più sul tempo che passa prima di ottenere l'allaccio del gas che non su quello della riapertura dei musei e delle chiese monumentali".

D'accordo anche col professore di economia urbana Antonio Calafativanno trovate le cause degli errori, ma soprattutto va trovato il modo funzionale di collegare ed applicare strutturalmente una capacità di analisi continua alla ricostruzione che lavori finalmente in sinergia con la sua Governance ed il territorio.

Il tema cruciale, infatti, come sottolineato un po' da tutti, è il "L'Aquila reboot" - come si riavvià una città?

Come si riavvia socio-economicamente il centro di L'Aquila una volta che si sono più o meno ricostruite le sue mura e dopo tutti gli errori di programmazione del sistema già commessi? Come scongiurare fattivamente l'evocato incubo Pompei, di una città bomboniera, bella ma vuota e avvolta in una bolla immobiliare? 

Dopo l'emergenza, le promesse e l'avvio della ricostruzione pesante, sta per arrivare insomma il momento della verità. 

Per avviare il reboot è necessario ri-programmare da subito correggendo quegli errori che hanno fatto del capoluogo una sorta di rompicapo

Basta fare una fotografia dell'assetto urbano e viario, della dispersione della comunità conseguente il sisma e la costruzione delle cosiddette newtown, per affermare che L'Aquila presente (quindi non una delle sue proiezioni) sia divenuta simile a un rebus nel quale vivere crea spesso difficoltà a volte drammatiche, non ultimo a livello psicologico.

Per salvarci da questa bassa qualità della vita (che non vuol dire necessariamente bassa quantità di popolazione), piuttosto che aspettare la ripresa - per quanto utile - del giornale nazionale di turno, si può partire dallo sviluppare al meglio e mettere in rete saperi e compotenze a partire da quelle presenti sul territorio e dall'Università (perchè non istituire ad esempio una sorta di distretto di ricerca ad hoc per le Scienze sociali che rafforzi il già esistente corso in Urban studies del Gssi?). In modo da far trovare alla politica la rotta giusta.

Così L'Aquila ricostruita, dopo il Reset dovuto al terremoto, potrà in qualche modo riavviarsi.

 

Ultima modifica il Domenica, 10 Gennaio 2016 00:38

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