Venerdì, 07 Marzo 2014 13:14

Non tutto il talent vien per nuocere: fenomenologia ironica di Masterchef

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Dopo una stagione di gruppi di visione, di tisane e commenti, di plaid e tifo televisivo, di dispute social e (più raramente) di tragici tentativi di imitazione casalinga, finalmente ci siamo.

E' la sera di giovedì 6 marzo e per due ore la vita vera si congela fuori dalle finestre di milioni di case italiane, mentre all'interno si consuma l'atto conclusivo dell'evento televisivo dell'anno: la finale di Masterchef.
Lo so, lo so. Già vedo arricciarsi i nasi dei più raffinati, pregiudizialmente poco inclini ai fenomeni di massa e snobisticamente superiori al concetto stesso di talent show.

Beh mi confesso, ero uno di voi. Ma mi avete perso. Non tutto il talent vien per nuocere, e Masterchef è sicuramente una piacevole eccezione.

Cominciamo a chiarire che la chiave di lettura di Masterchef deve essere l'ironia. Altrimenti non se ne esce. Ci vogliono tonnellate di ironia per non affogare nelle tante possibili trappole da cliché che si annidano in ogni angolo: le inquadrature strette sui volti tesi dei concorrenti in attesa di giudizio, l'aggressività costruita e palesemente sforzata con cui i giudici incalzano gli aspiranti chef in difficoltà, le interviste dietro le quinte in cui i protagonisti alternano dettagli al vetriolo sui loro avversari, aspirazioni professionali, confessioni personali e immortali perle sul senso della vita.

Senza un dottorato in ironia non puoi reggere la vista dell'occhio vitreo di Cracco quando fa il cattivo, quel sopracciglio lievemente inarcato che sottintende giudizi draconiani su salse e fondi di cottura. E' bellissimo Cracco, così perfettamente calato in quel ruolo di Rodolfo Valentino dei fornelli che il tam tam mediatico gli ha ritagliato addosso e al quale ha finito per credere anche lui, in barba ad una innata e piacevolissima goffaggine che ne è il vero tratto distintivo. Gli hanno fatto credere di essere Brad Pitt, invece sembra Potsie di Happy Days.

Durante un'intervista alle Invasioni barbariche, un Cracco modello James Bond si offrì in tutto il suo splendore agli sguardi svenevoli di un pubblico femminile accorso in massa e palesemente incantato, finché, alla battuta rompighiaccio della Bignardi "Ma tutti si chiedono: Cracco ci è o ci fa?" lo sguardo del bellissimo si inchiodò come a cercare chissà quali sottintesi, togliendo al pubblico il dubbio meglio di qualsiasi risposta. Impareggiabile.

Controcanto perfetto al "vorrei ma non posso" di Cracco è il secondo giudice Joe Bastianich. Un personaggio spettacolare, in grado di modularsi tra l'indisponente ai limiti dell'odioso fino al piacevole con spunti di estrema umanità. Accostato a Cracco sembra un premio Nobel, non fosse altro per la sua capacità di "leggere" le situazioni e non solo il gobbo, e per il tempismo nel proporsi e nel celarsi, nel riempire vuoti e nel non appesantire i passaggi già densi. Grandioso quando si deve far odiare, soprattutto con quel gesto veramente indisponente di tirare i piatti mal riusciti, che credo sia stato il motivo per cui Sky dal secondo episodio ha cominciato a far passare delle schermate in cui si precisavano dettagli tipo: "625 kg di verdura sono stati recuperati durante questo episodio e distribuiti alle mense dei poveri di Milano". Anche se "Bastianich verrà frustrato in piazza la prossima volta che tira un piatto" avrebbe sicuramente funzionato meglio.

E poi, il suo italiano insieme raffinato e zoppicante vale da solo l'abbonamento a Sky. Iperboliche prodezze lessicali che potrebbero essere fatali a, per esempio, un Cracco acquisiscono sapidità per quella scorrettezza di base tipica dei non madrelingua, il che, accompagnato ad una dizione alla Ollio, crea una lingua sublime, piena di "condizioni" per "condimenti" e "finanze" per "finali".

Il messaggio improvvisato alla telecamera dopo la proclamazione del vincitore, per invitare gli aspiranti masterchef a partecipare al casting per la prossima edizione, è stato di una tale bellezza nel suo completo vilipendio di consecutio, desinenze, singolari per plurali e maschili per femminili da diventare sicuramente un cult in rete nei prossimi giorni.

A completare la triade dei giudici lo chef Bruno Barbieri, elemento di equilibrio che ha il merito di riportare il tono su un livello di leggerezza che indubbiamente caratterizza l'edizione italiana rispetto, tanto per fare un esempio, alla versione americana che ha i toni del centro addestramento reclute dei Marines. Bravo, circostanziato e tecnico quando serve (come, de resto, i suoi due colleghi) Barbieri è a suo agio e istrionico, facile alla battuta e capace di quelle grandiosità espressive romagnole che non si imparano ("Beh, questo dovrebbe essere un piatto che valorizza la carne ma per ora vedo solo della gran verdura"). Meno incline degli altri a fare il duro, completa un affresco di personaggi perfetto, il che mi spinge a fare i complimenti alla produzione: meglio di così sarebbe stato difficile scegliere.

E poi, ovviamente, i partecipanti. Qui i piani si sovrappongono, perché all'ovvia attenzione alle capacità tecniche e inventive peculiari del tipo di show si somma la necessità da parte della produzione di creare un ventaglio di tipologie umane interessante nel suo complesso. Troviamo quindi l'imprenditore, il disoccupato, il capocantiere, il dandy ex-ricco in rovina, i giovanissimi e i quasi anziani, quelli del nord e quelli del sud, gli italiani e gli stranieri, gli introversi e gli amiconi, i leader e i gregari. Un quadro che, man mano che si va avanti nella serie, si sgrana necessariamente portando avanti i più capaci, anche se con qualche forzatura, per cui la gastronomicamente non eccelsa ma televisivamente perfetta Rachida è stata spinta avanti con ogni mezzo fino ai limiti del lecito.

Alla fine, un terzetto arriva all'ultima serata. Nella prima delle due puntate l'eterna seconda Enrica, francamente un gradino sotto rispetto agli altri, imbocca per gli spogliatoi a causa di una trippa risottata mal riuscita.

Si concretizza quindi, per il passaggio conclusivo della kermesse, quanto i più attenti avevano cominciato ad intuire già da qualche puntata a questa parte: lo scontro tra Almo e Federico.

Almo: alto e, mi dicono, forse anche bello, imprenditore, ex tenente dei Carabinieri, uomo del Sud che si esprime a slogan, uno che potrebbe far carriera in politica. Uno che riesce nella vita, o perlomeno che ci tiene a fartelo credere. Tra l'altro molto bravo, ma anche estremamente paraculo nel declinare i sapori della regionalità con tocchi innovativi davvero niente male e una perizia fuori dal comune. Un vincente in due parole, in pieno trend positivo nelle ultime puntate, costellate di successi personali. Lo odio.

Federico: bassino e topesco, cerebrale, introverso ma non timido, motivatissimo, estremamente sicuro delle sue possibilità ma sempre nei termini di un percorso di crescita personale più che della necessità di imporsi agli altri. Se non lo avessi visto a Masterchef lo avrei immaginato curvo su una scacchiera o col camice in un laboratorio di fisica. E' medico tra l'altro, ma senza apparente passione. Coraggiosissimo nelle scelte, non ha mai cercato la sponda facile sui giudici, portando avanti un concetto di cucina molto "alta" e difficile, ma estremamente efficace.

Nelle ultime puntate, probabilmente imbeccato da qualche autore lungimirante, ha cominciato ad incrinare la sua maschera da "dottorino" con considerazioni molto profonde, o molto ben scritte, sulla sua vita e sulla felicità. Una bella mossa da parte sua o degli autori, che infatti ha spostato la mia personale inclinazione nei suoi riguardi da "dategli fuoco" a "tifo per lui".

Va quindi in scena l'atto finale, un menù di tre portate ideato dai finalisti e servito ai giudici e ai concorrenti eliminati, due dei quali fanno da aiutanti per il servizio finale. Inizio claudicante per entrambi sul primo piatto, con lieve vantaggio di Almo che sembra avviarsi verso un finale già scritto. Sostanziale pareggio sulla portata principale, con Almo che gioca facile con anatra e foie gras mentre Federico rischia e stupisce. Sul dolce, l'inatteso: Almo scivola con un budino veramente mal fatto mentre Federico incanta giudici ed ex avversari.

A questo punto i giudici scelgono il vincitore, ne sigillano il nome in una busta e tutto viene rimandato a... ieri sera appunto, ma stavolta in diretta per il gran finale. In una location agghiacciante, da far sembrare il Cocoricò un monumento al buon gusto, un Cracco impacciatissimo fa un macello o, se volete, un capolavoro di comicità involontaria. Non azzecca un tempo neanche per sbaglio, e la mancanza di montaggio tipica della diretta (magari qualcuno lo avrebbe dovuto avvertire) fa il resto. Barbieri tenta di accorrere in aiuto, ma ha grosse difficoltà col gobbo e alla fine i suoi interventi sembrano più delle visite dall'optometrista. Bastianich se la gode, e lancia qualche strale qua e là nel suo personalissimo idioma. Nel complesso l'impressione è che sia andata come per l'Apollo 13: un disastro di successo.

Si apre infine la busta e, come saprete, il vincitore è Federico. Delusione tra la claque almiana, tripudio mio personale che, in ginocchio davanti allo schermo, urlo "Ha vinto il topo! Ha vinto il topo!"

Ma come avete fatto a vivere senza tutto questo?

L'anno prossimo non mancate.

 

Ultima modifica il Venerdì, 07 Marzo 2014 13:56

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