Martedì, 23 Settembre 2014 17:43

Dall’Aquila a Firenze: "Un passo di pace" con i ragazzi dello Sprar

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Quando si parla di pace, il rischio di cadere nella retorica è dietro l'angolo. Eppure, l'aria che si respirava domenica al piazzale Michelangelo di Firenze, non aveva nulla a che fare con la retorica.

Firenze ha ospitato, in concomitanza con la Giornata Internazionale per la Pace, la manifestazione nazionale Facciamo Insieme un Passo di Pace. L'evento, promosso da quattro reti della società civile (Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci, Tavolo Interventi Civili di Pace) è stato appoggiato da molte associazioni provenienti da tutta Italia.

L'obiettivo? Lanciare una piattaforma di richieste e di campagne per un "cambio di passo" delle politiche dei governi e delle istituzioni internazionali, riguardo l'evidente fallimento delle guerre e l'urgenza di una politica di pace.

L'Aquila, nel suo piccolo, c'era. C'erano i ragazzi che partecipano al "Progetto Accoglienza SPRAR" (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati ), quelli che chiameremmo "rifugiati" ma che, dopo aver condiviso l'esperienza di questo viaggio con loro, viene spontaneo chiamare semplicemente "ragazzi". Siamo partiti alle cinque di mattina dall'Aquila per arrivare in tempo per l'inizio della manifestazione. Forse qualcuno di loro non aveva mai visto Firenze ma, di certo, la cosa più singolare per loro era trovarsi in una piazza per chiedere la pace, proprio in Italia.

Già, perché l'Italia non è solo spettatore delle guerre che violentano il mondo. Secondo un articolo apparso lo scorso luglio su "Il fatto quotidiano", l'Italia sarebbe il primo esportatore in Europa di sistemi militari e di armi leggere verso Israele. Del resto, l'Italia non è nuova alla fornitura di armi in zone di guerra: nel 2013, l'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) ha denunciato un record di esportazioni di armi bresciane in Medio Oriente ed in Africa. E' invece di questo agosto l'appello, rivolto al Parlamento, della Rete Italiana per il Disarmo affinché non si inviino più armi nel nord dell'Iraq.

Alla luce di tutto questo, chiedere la pace suona un po' meno come un ritornello utopico, piuttosto è una presa di coscienza civile. Nessuno di noi si sente responsabile delle atrocità che vede in tv e legge sui giornali, eppure lo siamo. Qualcuno, in piazza, aveva uno striscione con scritto "Non in mio nome", evidentemente c'è ancora la volontà di partecipare attivamente alla vita dell'Europa e del mondo.

A dimostrarlo anche l'accoglienza che la piazza ha riservato all'ambasciatrice palestinese in Italia Mai Al Kaila, che ha spiegato con ferma determinazione la situazione di emergenza che affligge la Palestina. Per la piazza risuonavano le sue parole, dure come una spada: parlavano di una realtà assurda, una realtà che ormai tutti conosciamo ma che davvero non possiamo comprendere. Può farlo solo chi combatte da una parte, o dall'altra, e chi ne muore, dentro e fuori. E può comprenderla anche chi decide di non combattere, chi rischia la propria vita per non ucciderne delle altre. Sono i cosiddetti "shministim", gli obiettori di coscienza: niente eroi, niente politici ma ragazzi e ragazze spesso giovanissimi convinti che occupare militarmente un altro paese non è la soluzione. Come Udi Segal, un ragazzo israleano di appena 19 anni, comparso in una video-intervista durante la manifestazione. Udi ha raccontato la sua esperienza, molto simile a quella di centinaia di obiettori. Con ogni probabilità, finirà in galera. "Non ho mai provato niente di così vicino ad una estrema privazione della libertà", ha detto quando l'intervistatore gli ha chiesto se avesse paura.

Davanti a tutta questa violenza e questa privazione dei diritti umani, che affligge non solo la Palestina ma molti paesi in tutto il mondo, la piazza però non sembrava avere uno sguardo pessimista: la rabbia è tanta ma tanto era soprattutto l'ottimismo, la voglia di credere che qualcosa possa cambiare a partire da "un passo". E forse erano ottimisti anche i ragazzi del progetto Sprar che agitavano le bandiere della pace, divertiti. Magari non avranno inteso tutto dell'italiano che, grazie all'aiuto di un insegnante, stanno cercando di imparare ma senz'altro avranno avuto la lontana speranza che il nostro è un Paese dove ci sono dei "folli" a cui interessa ancora ciò che accade fuori dal loro giardino, e che non sono disposti a guardare altrove. I ragazzi provengono da paesi diversi (Eritrea, Mali, Senegal, Bangladesh, Gambia, Nigeria, Pakistan, Afganistan, Etiopia, Somalia, Sierra Leone, Sudan, Ghana, Egitto, Costa D'Avorio, Burkina Faso, Libia, Siria, Iraq), molti dei quali non esenti dalla distruzione che l'uomo ha creato intorno a se, come la guerra e la miseria.

Certo, non possiamo conoscere tutte le loro storie e, stavolta, non è neanche necessario. Ciò che sappiamo con certezza è sono venuti in Italia per sfuggire a delle realtà insostenibili e che L'Aquila, nello specifico dell'associazione realizzatrice del progetto (Arci) e delle persone che vi lavorano, sta cercando di inserirli al meglio nella nostra città.

Una manifestazione per la pace è solo l'inizio, poi dovrebbe arrivare la pace, si spera. Ma almeno, quei 30 ragazzi avranno avuto, per un giorno, l'idea di un'Italia diversa.

La fotogallery

Un passo per la...
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Un passo per la...

 

Ultima modifica il Mercoledì, 24 Settembre 2014 10:34

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