Mercoledì, 29 Ottobre 2014 19:18

Retromania, gli anni '80 secondo Ford Prefect / 1 - Tra due Capodanni

di 

"Non si esce vivi dagli anni '80"
(Afterhours)


I miei Anni Ottanta cominciarono col naso schiacciato sulla finestra di casa di mia zia, a San Sisto - L'Aquila.

Da lì, sullo sfondo del cielo buio di una periferia ancora quasi campagna e di conseguenza scarsamente illuminata, assistevo allo spettacolo, a dire il vero un po' minimal, dei fuochi d'artificio dei vicini sboroni. Ricordo quel numero così stranamente tondo, "80", campeggiare sullo schermo in bianco e nero dal quale la Televisione (parlare di RAI era al tempo pleonastico) propinava una tutto sommato sobria trasmissione festaiola, forgiata sull'immaginario intrattenitivo della tombola parrocchiale. Erano di là da venire il marrone similcuoio di carliconti dal sorriso abbagliante e i trenini piumati su mix da sambodromo (begiò begiò la-la-la-la-la-la-la-la sasuela sasuela sasuela sasuela ahi ahi caramba!) che mi hanno perso definitivamente, e forse ingiustamente, alla causa della musica sudamericana.

Mi affeziono quasi a tutto ciò che mi resta intorno per più di un quarto d'ora, non immaginate quanto mi fossi affezionato a quel "7" che aveva occupato stabilmente la colonna dei decenni di tutte le date della mia vita fino ad allora. Per mesi martoriai i quaderni di scuola per cancellarlo con la gomma blu a rotella, dopo aver sovrappensiero scritto la data del decennio precedente, e per sostituire la scarna magrezza delle sue linee secche con la opulenta bicircolarità del suo fresco successore.

Chè, a ben pensarci, nella grafia latina del secco e spigoloso "7" e del tonteggiante e avvolgente "8" c'è molto del distacco tra i Settanta e gli Ottanta, almeno alle nostre latitudini. C'è un po' il salto tra l'essenzialità lineare del mondo della Cinquecento e delle domeniche a piedi, del gelato al mare una volta ogni tanto, del negozietto sotto casa, del Primo e Secondo Canale, dei conti a fine mese e l'opulenta rotondità del decennio della Borsa alla portata di tutti, del lavoro facile, della crescita sempre e comunque, dell'affermazione della grande distribuzione, della televisione commerciale, delle vacanze in Sardegna, delle berline dalle cilindrate generose da abbeverare con idrocarburi di nuovo alla portata di tutti.

Chi, come me, è stato adolescente negli anni Ottanta li avrà probabilmente vissuti con la sensazione che non stesse succedendo niente. Nei nostri discorsi di liceali scazzati traspariva spesso il rammarico per aver lisciato di così poco l'età dell'oro delle grandi band e delle grandi lotte, del punk e del settantasette. L'era degli ideali era stata soppiantata da quella del malcostume politico palese, di cui si rideva nelle barzellette da bar ma dal quale l'intera società era permeata "in una parte più e meno altrove" come avrebbe detto il Poeta. La prorompente libertà espressiva del decennio precedente e di quello prima ancora sembrava alla fine incanalata sui binari della regolarizzazione, le zampe di elefante si erano ristrette intorno alle nostre caviglie, i capelli si erano accorciati e le barbe erano sparite, i distorsori che ululavano verso l'alto dei cieli del Rock erano stati soppiantati da queste tastierine tranquillizzanti sulle quali voci ovatatte sussurravano amenità balneari. Non era proprio così, ma a noi così sembrava. E in molti non vedevamo l'ora che quegli anni, che ci sembravano di sopore e calma piatta, arrivassero alla fine.

Eppure per chi c'è stato non c'è periodo che, più di quello, riesca ad evocare una nostalgia tanto intensa. Per ragioni anagrafiche direte, ed avete ragione. Ma non solo. Gli Ottanta sono stati il momento di culmine, di sospensione, la punta delle montagne russe in cui tutto per un istante sembra fermo prima che inizi la picchiata. Sono stati l'attimo con le farfalle nella pancia.

Ovviamente ci lasceremo alle spalle i pistolotti pseudo-socio-storici tipo quello che ho appena sparato (con la sola motivazione di appesantire il pezzo, far fallire la rubrica e potermi dedicare a tempo pieno alla mia attività preferita che, per chi non lo sapesse, è un cocktail dal nome cardinalizio).

Proveremo invece ad addentrarci tra le piccole cose di quegli anni per me magici, tra nomi famosi e semisconosciuti, tra eventi più o meno celebrati, tra frammenti di tiggì a reti unificate e trafiletti in cronaca, cercando di recuperare il respiro di allora, come eravamo o forse come pensavamo di essere, come ci sembrava il mondo in cui ci avevano precipitati.

I miei Anni Ottanta terminarono in camicia a righe bianche e blu, jeans, Timberland e maglia di Armani (lo ammetto) ad una festa di Capodanno alla quale non mi era sembrato il caso di non andare. Quella sera gli U2 suonavano al Point Depot di Dublino, con B.B. King, inizio a mezzanotte precisa per festeggiare i 90 in arrivo, e Radiorai trasmise la diretta, evento incredibile per i palinsesti del tempo. Un mio amico restò a casa per registrarla, e quella TDK da 120 minuti restò a lungo oggetto di culto.

Io ancora mi affezionavo alle cose, nonostante la quasi maggiore età mi consigliasse atteggiamenti più maschiamente distaccati, e anche quell'"8" mi mancò a lungo. Si respirava un clima elettrico in quel volgere di decennio, la geopolitica intorno a me di lì a poco cominciò a cambiare per la prima volta da quando ero nato e mi faceva un certo effetto pensare al signor De Agostini che ogni due settimane doveva fermare le rotative dell'azienda di famiglia per aggiungere uno staterello alla mappa europea dei suoi atlanti. Tutto mi sembrava destinato ad un futuro, se non radioso, almeno eccitante.

Ovviamente molte di quelle percezioni erano fallaci. Ovviamente non avevo capito che stavo respirando l'aria fresca che trovi solo là sopra, sul dosso più alto della montagna russa, quando per un attimo sei fermo e che quelle farfalle in pancia erano solo l'anticipazione della picchiata che sta per cominciare, ma non sai esattamente quando lo farà. Mai avrei immaginato che di lì a poco avrebbero tuonato i cannoni dall'altra parte dell'Adriatico, nè che quell'Europa unita che da anni ci sbandieravano come l'avverarsi di un sogno, e che stava formalmente per nascere, si sarebbe rivelata ben altro che la terra in cui scorre latte e miele.

Si usciva, finalmente, dal Decennio Immobile, senza averne capito granchè. Ma non sarebbe passato molto tempo prima che si facesse sentire, da qualche parte là in fondo, la nostalgia struggente per quei giorni bistrattati, nei quali abbiamo lasciato frammenti di sogni che sembravano dietro l'angolo, destinati ad accadere in un "domani" che non abbiamo trovato.

Se vi va, torniamoci a raccogliere qualche fotografia lasciata a ingiallire.

Gli Ottanta non finiscono mai.

 

Ultima modifica il Giovedì, 30 Ottobre 2014 16:02

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