Mercoledì, 01 Febbraio 2017 09:24

Vulnerabilità sismica, Palumbo: "Opcm 3274 e cortocircuito normativo"

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Stamane, è ripresa l'attività didattica nelle scuole d'ogni ordine e grado della città; non si è spenta, però, la polemica sullo stato di sicurezza degli edifici scolastici.

Come noto, infatti, una OPCM della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la 3274 del 23 marzo 2003, prevedeva che le opere strategiche per finalità di Protezione civile e quelle suscettibili di conseguenze rilevanti in caso di collasso - le scuole, in particolare - fossero sottoposte a verifica dei rispettivi Enti proprietari. Il termine stabilito per la conclusione delle verifiche era di 5 anni, quindi al 2008, ma è stato prorogato una prima volta al 31 dicembre 2010, con la legge 31 del 2008 e, poi, una seconda volta, l'ultima, al 31 marzo 2013, con legge 288 del 2012. Ebbene, abbiamo scoperto in questi giorni che il Comune dell'Aquila non ha approntato le verifiche imposte dalla norma e che la Provincia, al contrario, ha adempiuto alle prescrizioni, verificando la vulnerabilità sismica degli edifici ospitanti le scuole superiori che, tuttavia, hanno rilevato indici ben al di sotto dei requisiti vigenti.

Abbiamo approfondito il concetto di vulnerabilità sismica e di agibilità [qui], se è vero che gli edifici suddetti hanno il certificato d'agibilità, evidenziando, tra l'altro, come il rischio sismico non sia direttamente legato all'intensità sismica e sottolineando che non esistono soglie cui riferire con automatismo le azioni di Protezione civile da porre in atto [qui] in riferimento alle problematiche delle strutture con basso indice di vulnerabilità.

Non solo; abbiamo spiegato [qui] che la verifica di vulnerabilità sismica è obbligatoria, anzi era obbligatoria al 31 marzo 2013, ma non lo erano eventuali interventi di messa in sicurezza, in caso di criticità rilevate. "Nel momento in cui si determina l'inadeguatezza di un'opera rispetto alle azioni ambientali, non controllabili dall'uomo e soggette ad ampia variabilità nel tempo ed incertezza nella determinazione, non si può pensare d'imporre l'obbligatorietà dell'intervento o del cambiamento di destinazione d'uso o, addirittura, la messa fuori servizio dell'opera non appena se ne riscontri l'inadeguatezza", è scritto in una direttiva firmata dall'allora Capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, e datata 4 novembre 2010.

E dunque, che dovrebbero farsene gli Enti proprietari di edifici strategici dell'indice di rischio rilevato dalle verifiche? Utilizzarlo per "stabilire il tempo entro il quale prendere provvedimenti di messa in sicurezza". E come si determina questo tempo, vi starete chiedendo: "equiparando la probabilità d'accadimento di un terremoto in grado di superare la capacità di resistenza della struttura, nel periodo di tempo in cui la costruzione continuava ad essere utilizzata, con la probabilità accettata per una costruzione a norma in un periodo di 50 (o più) anni."

Insomma, il tempo entro il quale attivare l'intervento di messa in sicurezza viene stabilito "in termini di vita nominale compatibile con la capacità dell'opera". Per vita nominale, si fa riferimento al periodo nel quale la struttura può essere considerata sicura, nel senso che è in grado di sopportare l'azione sismica che ha una fissata probabilità di occorrenza nel periodo di riferimento ad essa collegato (tenendo conto, attraverso il coefficiente d'uso, della funzione svolta dal manufatto).

Esatto, probabilità di occorrenza. La sicurezza è considerata in termini probabilistici.

Eccolo, il 'nodo' della questione; da qui, dovrebbe muovere una discussione informata e costruttiva che potrebbe, magari, svilupparsi a L'Aquila per interessare, poi, il Paese. Al contrario, stiamo probabilmente cercando la risposta giusta ad una domanda sbagliata: dobbiamo discutere degli indici di vulnerabilità o, piuttosto, dei modelli scientifici che hanno caratterizzato la ricostruzione, in questi anni?

A 'stimolare' la riflessione sui social network è Stefano Palumbo, capogruppo del Partito Democratico in Consiglio comunale. "Lo dico da giorni: il rispetto delle prescrizioni stabilite dalla OPCM 3274, invocato da molti, non porta a nulla", spiega a NewsTown. "E non me la prendo con studenti, professori e genitori, comprensibilmente e legittimamente preoccupati per la sicurezza delle scuole, ma con quella 'politichetta' preoccupata solo ad alimentare il caos, incapace e completamente disinteressata nel provare a mettere a fuoco il cuore del problema".

E allora, qual è il cuore del problema? "Le scuole dell’Aquila, nel 2009, non sono state riparate dal Comune o dalla Provincia, bensì dallo Stato attraverso una sua articolazione sul territorio, ovvero dal Provveditorato alle OO.PP., coadiuvato da ReLuis e dall'allora commissario straordinario per l’emergenza, nonchè capo della Protezione civile, nonchè sottosegretario alla presidenza del consiglio, ovvero lo stesso Guido Bertolaso che firmava, nel 2010, la circolare di chiarimento della OPCM 3274", risponde Palumbo.

"Badate bene, non è polemica politica contro Bertolaso: mi interessa semplicemente mettere in evidenza il cortocircuito normativo che si è generato nel 'caso' aquilano: da un lato, infatti, vara nel 2009 le nuove 'Norme Tecniche sulle Costruzioni', indicando i criteri progettuali per il raggiungimento dell'adeguamento sismico, dall'altro, poi, impone agli enti locali l'obbligo della verifica di vulnerabilità sismica per gli edifici rilevanti entro il 2013; al momento di subentrare agli stessi enti locali, però - come accaduto a L'Aquila, per la ricostruzione delle scuole - non provvede né all'adeguamento sismico né alle verifiche di vulnerabilità".

Sulla base di quali valutazioni tecnico-scientifiche, dunque, lo Stato centrale ha deciso di riparare le scuole aquilane, limitando lo sforzo ad interventi di rafforzamento locale e ritenendo che gli stessi garantissero un utilizzo in piena sicurezza? "Di certo, non può averlo fatto secondo la teoria del 'tanto rifà tra 300 anni'", sottolinea Palumbo; che trova risposta, piuttosto, nei certificati d'idoneità statica ed agibilità sismica rilasciati dal Provveditorato alle Opere pubbliche nel 2009, per ogni edificio riparato. "Si prenda ad esempio la Dante Alighieri: nel certificato, si legge che 'a seguito dell'evento sismico del 6 aprile 2009, le strutture - a seguito di sopralluogo di squadre di esperti del Dipartimento di Protezione Civile - sono stati classificati agibili con provvedimenti essendo stati rilevati solo danni alle parti non strutturali e possibili lievi e limitati danni alle parti strutturali e che sono utilizzabili dopo semplici opere di pronto intervento come da scheda AeDES corrispondente; l'edificio - si legge ancora - ha dimostrato, avendo la parte strutturale dello stesso resistito a tali azioni con deformazioni ricadenti essenzialmente in campo elastico, la capacità prestazionale di resistere ad accelerazioni minori o uguali a quelle causate dal sisma del 6 aprile 2009, senza subire danni strutturali significativi con la necessaria garanzia di sicurezza agli utenti; nonostante la già intrinseca capacità sismica della struttura, dimostrata dal comportamento elastico durante il sisma, alcune parti hanno subito interventi di rafforzamento locale che ne migliorano il comportamento, aumentandone la condizione di sicurezza sismica rispetto alla condizione preesistente al sisma del 6 aprile 2009'".

Che cosa significa? In parole povere: se un edificio ha resistito al sisma del 2009 è ragionevole presumere che resista ad altro sisma capace di produrre accelerazioni pari o minori, tanto più a seguito degli interventi di rafforzamento. Oppure, in altri termini: "Gli edifici classificati con esiti A o B, hanno dimostrato - attraverso un collaudo naturale - di saper resistere a sollecitazioni provocate da un sisma di magnitudo 6.3 senza riportate danni strutturali;  della serie, non esiste simulazione migliore di quella sul campo", ribadisce Palumbo. Tanto è vero che il Provveditorato alle Opere pubbliche ha dichiarato le scuole agibili, a seguito delle opere di restauro, "pur sapendo che non soddisfano i criteri dell'adeguamento sismico".

"E' evidente sia così", aggiunge Palumbo; "infatti, l'indice di vulnerabilità può essere visto come un indicatore di quanto l'edificio esistente sia 'distante' in termini progettuali da uno realizzato in base alla normativa del 2009 che prevede, ad esempio, una elevata quantità in più d'acciaio nelle strutture rispetto alle vecchie normative. E' quasi impossibile che un 'vecchio' edificio risulti conforme ai nuovi parametri nonostante abbia subito, come accennato, un collaudo naturale per il quale sia risultato ampiamente idoneo".

Quindi, provando a fare sintesi: tutti gli edifici che, a L'Aquila, non hanno riportato danni strutturali al sisma del 2009, scuole comprese, non sono adeguati sismicamente - secondo i criteri progettuali stabiliti dalle Norme tecniche di costruzione introdotte nel 2008 e in base a modelli matematici utilizzati nel calcolo dell'indice di vulnerabilità - pur avendo dimostrato la loro capacità resistente col collaudo naturale al quale sono stati sottoposti. "Su questo assunto - ribadisce Palumbo - è stata impostata gran parte della ricostruzione, non solo del cratere aquilano, e meraviglia che alcuni personaggi politici se ne accorgano soltanto ora. Dire quindi che la sicurezza è garantita solo in edifici adeguati sismicamente (100%), equivale a mettere in discussione la validità scientifica della tesi portata avanti fino ad ora attraverso le leggi: così fosse, però, andrebbe aperta una vertenza di respiro nazionale, per chiedere che tutti gli edifici pubblici strategici vadano ricostruiti ex novo, rispettando le nuove Norme tecniche di costruzione".

Siamo arrivati al punto: se si mette in discussione la teoria tecnico scientifico che ha delineato il modello di ricostruzione seguito fin qui, è necessario pretendere altresì la ricostruzione ex novo degli edifici pubblici strategici e non chiedere che - gli stessi - rispettino le normative vigenti in termini di vulnerabilità sismica, calcolata su formule matematiche impostate sulle Norme tecniche introdotte nel 2008 e, dunque, precedenti alla loro costruzione. "Ciò non toglie che il nostro obiettivo - sottolinea comunque Palumbo - debba essere quello di arrivare all'adeguamento di tutte le scuole, attraverso un piano pluriennale di investimenti, e in tal senso l'indice di vulnerabilità delle strutture rappresenta lo strumento attraverso cui stabilire l'ordine di priorità d'intervento".

E' anche una questione di fiducia, aggiungiamo noi; se genitori, alunni e personale docente chiedono chiarezza sugli indici di vulnerabilità è perché stanno mettendo in dubbio proprio il modello tecnico-scientifico seguito fino ad ora; non hanno fiducia, in altre parole, verso le Istituzioni e, in questo senso, le inadempienze del Comune dell'Aquila e la scarsa trasparenza su questioni pure spinose, come questa, non hanno aiutato di certo a costruire conoscenze che dovrebbero garantire una maggiore consapevolezza.

Ultima modifica il Mercoledì, 01 Febbraio 2017 14:03

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