Sabato, 14 Novembre 2020 23:55

Il rassicurazionismo e la pandemia: intervista a Antonello Ciccozzi

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Qualche mese fa, in un articolo comparso sul sito La scienza in rete, Antonello Ciccozzi, professore di Antropologia culturale all'Università dell'Aquila, aveva fatto un parallelo tra il terremoto del 2009 e la pandemia, usando il concetto di "rassicurazionismo" che lui stesso coniò nel 2012, come consulente della procura durante il processo alla Commissione Grandi Rischi, per rifersirsi alla comunicazione fornita dai membri della stessa Commissione nei giorni precedenti il sisma e a come questa ingenerò tra la popolazione una svalutazione del rischio.

Lo stesso tipo di comunicazione Ciccozzi l'ha ravvisata, durante la pandemia, in molti addetti ai lavori e anche in molti decisori pubblici: "Ancorare questa epidemia al termine “influenza” [...] ha facilitato inavvertitamente il contagio".

Ciccozzi scriveva queste cose il 31 marzo, nel pieno del picco della prima ondata. Ora che la seconda ondata si è abbattuta in maniera ancora più virulenta - specie sul nostro territorio, che in primavera era stato sostanzialmente risparmiato - torna a lanciare l'allarme.

Professor Ciccozzi, sulla scorta della sua esperienza come consulente della procura dell’Aquila nel processo alla commissione Grandi Rischi, lei ha stabilito un parallelismo tra il pre-terremoto dell’Aquila e l’attuale emergenza sanitaria utilizzando il concetto di rassicurazionismo. Vuole spiegarci questo accostamento?

L’iter del processo alla Commissione Grandi Rischi si è comunque concluso con un condanna di un esperto (Bernardo De Bernardinis, ndc), quindi la giurisprudenza italiana ha sostanzialmente riconosciuto che le diagnosi esperte infondatamente rassicuranti, ossia basate su presupposti pseudoscientifici e contraddette dalla realtà, contribuiscono attivamente a produrre esiti catastrofici. Le diagnosi di assenza di pericolosità, come quella che venne data da De Berdardinis ai margini della riunione dalla commissione Grandi Rischi del 30 marzo e che declassò il terremoto a “sciame sismico” che “scarica energia”, diminuiscono la percezione del rischio finendo per aumentare l’esposizione al pericolo. Se raccontiamo come assente un pericolo presente diventiamo suoi alleati. Seguendo questa linea si può affermare che raccontare che il virus è morto mentre è vivo e vegeto, come hanno fatto alcuni virologi, vuol dire essenzialmente fare gli untori. In tal senso i decisori dovrebbero iniziare a comprendere che la responsabilità politica e scientifica concerne non solo l’esagerazione ma anche la sottovalutazione dei rischi, e che questa può diventare responsabilità giuridica.

In che modo il rassicurazionismo di oggi è simile a quello di 11 anni fa?

Mentre i Dpcm pensano a vietare gli assembramenti, seguita ad essere consentito stare assembrati in venti o trenta in una stanza per sei o otto ore; coperti da mascherine-fazzoletto che calano dal naso ogni due minuti, spruzzando apotropaicamente unguenti a cui in fondo si conferiscono pretese di protezione più magiche che scientifiche. Molte volte i docenti entrano in classe facendosi forza di una narcolessia indotta da un misto di rimozione, fatalismo, effetto carrozzone del “così fan tutti” che ingenera un inconscio timore di diserzione, nella tacita speranza che arrivi il provvidenziale lockdown prima che il virus attecchisca sulla propria persona o in famiglia. È sostanzialmente lo stesso meccanismo che all’Aquila ci indusse a non uscire di casa dopo le due forti scosse che precedettero quella fatale: ci si affacciava alla finestra pensando che comunque era lo “sciame sismico” che “scaricava energia” diagnosticato dall’esperto in tv; nessuno usciva, quindi forse era il caso di non essere troppo prudenti. Spero di sbagliarmi ma oggi ci sono tutti i segnali per concludere che molto probabilmente stiamo commettendo lo stesso errore di qualche anno fa. La sensazione è che serva subito un drastico cambiamento di rotta, soprattutto all’Aquila. Il dissenso verso questa politica di sottovalutazione del rischio è poi impedito da una bizzarra coincidenza: chi vorrebbe protestare non può proprio per la ragione per cui vorrebbe farlo; il virus ci impedisce di scendere in piazza in massa, e questo non fa che rafforzare lo status quo.  L’Italia e l’Occidente in generale, invece di pensare a un’interrogazione alla Nazioni Unite per chiedere ristori alla Cina per questo disastro globale, pensa a salvare l’economia natalizia.

I rassicurazionisti sono peggio dei negazionisti?

In questi mesi c’è stata un’affermazione per molti versi fuorviante del termine “negazionismo”, prestito improprio dalla Shoah che, oltre ad annacquare il senso storico del termine, opacizza il fatto che, rispetto alla percezione attuale del rischio pandemico, spesso è stato ed è il diffuso e martellante rassicurazionismo di molti esperti a alimentare eccessi di ottimismo tra la popolazione, a partire da un rilancio dei loro messaggi da parte di media e esponenti politici. Il termine “negazionismo” porta l’opinione pubblica a focalizzarsi su fenomeni folkloristici come la tale Angela di Mondello del “non ce n’è coviddi”, e al contempo distoglie l’attenzione dal legame eziologico che spesso sussiste tra certe visioni popolari e il contagioso rassicurazionismo di esperti che hanno dichiarato che il virus sarebbe “clinicamente morto”, o che “non ci sarà nessuna seconda ondata”.

Alla luce di quanto ha appena detto, che lettura dà della situazione che stiamo vivendo all’Aquila?

A L’Aquila c’è una situazione surreale in quanto una città che ancora non esce dalla catastrofe sismica che l’ha massacrata poco più di dieci anni fa si trova oggi, nella seconda ondata Covid-19, in balia di una catastrofe epidemiologica già per molti versi manifesta e che lascia già intravedere segni chiari del rischio di una sua prossima esplosione verso il peggioramento, a meno di rimedi drastici e immediati. Ogni giorno abbiamo notizie di morti a noi prossimi, in città ci sono indici di contagio tra i più alti d’Italia e del mondo. Ci consoliamo anestetizzandoci con generalizzazioni statistiche che diluiscono l’emergenza della città in medie annacquate dai livelli di contagio sporadico delle aree rurali, gli addetti ai lavori fanno cherry-picking sulle statistiche, scegliendo quelle più rassicuranti e rimuovendo quelle allarmanti in funzione di un finalismo interpretativo che, forse inconsapevolmente, pensa solo a sostenere ipotesi di partenza del “andrà tutto bene”. Così può capitare che in una pretesa sacralizzante di presunta oggettività del dato, guardiamo alle statistiche, spesso“biased”, posizionali, variamente distorte ma ammantate di scientificità, per non guardare alla realtà dei fatti. Di fronte a questo disastro che si va conclamando con segnali sempre più eloquenti non solo è ingenuo e inappropriato usare statistiche di comodo come paraocchi, molto probabilmente tra poco questa scelta si rivelerà come una scelta  scellerata e criminale.

Da giorni l’ospedale S. Salvatore è sotto stress a causa dell’alto numero dei contagiati che devono ricorrere alle cure. Molti di loro devono aspettare ore in ambulanza in attesa di una visita o un ricovero. La dirigenza della Asl è dovuta correre ai ripari riconvertendo addirittura la cappella dell’ospedale a reparto. Eppure, stando alle dichiarazioni dei vertici aziendali, la situazione non sarebbe così catastrofica. Lei pensa siano stati fatti degli errori?

È triste constatare la verità della massima marxiana della storia che si ripete sempre due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Undici anni fa, a causa del terremoto ci siamo trovati con l’ospedale inagibile in quanto danneggiato dal sisma a causa di carenze progettuali, nel momento in cui la città ne aveva bisogno massimo. Oggi succede la stessa cosa, con l’aggravante doppia che non solo è già successo ma che stavolta avviene non nell’immediatezza di un sisma ma in un indecoroso spettacolo che cresce ogni giorno. Oggi abbiamo l’ospedale al collasso per afflusso malati, mentre crolla la capacità di curarli perché sono gli stessi operatori sanitari a infettarsi in massa, trasfomandosi da curanti a malati. Tutto questo è precipitato solo in poco più di un mese, mentre siamo a novembre e dobbiamo arrivare all’estate, con previsioni del picco per febbraio-marzo.

Come giudica l’operato degli amministratori e della classe politica in questo frangente?

La reazione della politica è letteralmente nulla: accomodati su inappropriati e confortanti dati regionali si fa finta di niente mentre si dovrebbe seriamente considerare il caso di chiudere tutto.  Le scuole elementari e medie restano aperte insieme agli asili come se nulla fosse. Alunni e docenti fanno le cavie di un grottesco esperimento di rimozione di massa, diretto dall’alto da una ministra della pubblica istruzione che, sotto la copertura di un narcisismo pseudo-eroico, dà l’impressione di un modo puerile di esercitare il potere, come incaponimento sulle proprie ragioni e ripicca verso le critiche che montano sempre di più. Nella nostra situazione e in varie altre parti d’Italia, ogni giorno giungono notizie di contagi, chiude questa o quella classe, chiude questa o quella scuola. Si va in mezzo ai banchi come in una partita di roulette russa: sperando che la pallottola tocchi agli altri, in circostanze in cui se si seguita così a qualcuno toccherà di sicuro e prima o poi con tutta probabilità qualcuno ci rimetterà le penne. E' una situazione sconfortante in cui è induttivamente ipotizzabile che con il mantenersi di un simile andamento si arriverà a un lockdown coatto dal basso, a posteriori, a danni avvenuti, fuori tempo massimo, prodotto per effetto del moltiplicarsi dei contagi.

Secondo lei dovrebbero essere prese misure più restrittive?

Soprattutto a L’Aquila, ritengo che sia il caso di notare che c’è un obitorio cittadino che si va affollando di vittime di una pandemia non sempre corrispondenti allo squallido stereotipo del “vecchio malato che tanto doveva morire”; e in questa circostanza, più che pensare a salvare il cenone di Natale, è il momento di prendere misure per salvare la pelle dei cittadini. Prima, non quando sarà troppo tardi.  Per questo torno alla questione del rassicurazionismo e penso sia il caso di ribadire che tanto i politici che gli esperti devono capire che diffondere tra la popolazione informazioni rassicuranti ma infondate è pericoloso rimanda a un piano di responsabilità non solo morale ma anche giuridica.  Per questo, date le attuali circostanze, invito i decisori politici aquilani a chiudere le scuole e la città.

* Antonello Ciccozzi è professore associato di Antropologia culturale presso Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila. Ha svolto ricerche etnografiche nell’appennino rurale, in contesti di marginalità giovanile urbana, in ambito emergenziale post-sismico, in luoghi di lavoro precario dei migranti. S’interessa dei processi di rappresentazione sociale della diversità culturale, di causalità culturale in ambito giuridico, di antropologia del rischio, dell’abitare, delle istituzioni, della scienza, delle migrazioni.

Ultima modifica il Domenica, 15 Novembre 2020 10:58

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