Domenica, 09 Luglio 2017 21:49

A Sinistra, dopo le elezioni. Perilli: "Costruire un campo largo, da Articolo 1 a Prc"

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"A febbraio, incontrai informalmente Giovanni Lolli, Pietro Di Stefano e Pierpaolo Pietrucci: ci rivedemmo qualche giorno dopo, a casa Cialente, presenti anche Giustino Masciocco e Angelo Mancini, la 'famosa' cena di cui scrissero i giornali; ebbene, in entrambe le occasioni ribadii a Lolli che se il candidato a sindaco non fosse stato lui, se si fosse creato, cioé, un quadro altro rispetto alla coalizione ulivista, Rifondazione comunista sarebbe uscita e, probabilmente, avrebbe perso la rappresentanza in Consiglio comunale, e il centrosinistra avrebbe perso le elezioni. Sono stato facile profeta: è andata a finire proprio così".

Enrico Perilli non fa sconti, analizzando i motivi della sconfitta del centrosinistra alle recenti amministrative; l'ex capogruppo di Rifondazione in Consiglio comunale, 330 preferenze alle elezioni nella lista 'L'Aquila Bene Comune - L'Aquila a Sinistra', in seno alla coalizione sociale, è convinto che ad alterare la corsa elettorale siano state le primarie. "Visto il risultato, il Partito Democratico era convinto di aver già vinto le elezioni. Al contrario, sono state un disastro: se si pensa che Luigi Di Luzio, consigliere comunale eletto con i salviniani, è stato un elettore delle primarie, del candidato Americo Di Benedetto in particolare, si capisce molto di come sono andate le consultazioni del 10 e 11 aprile; Di Luzio, e non soltanto lui, si è scelto prima l'avversario e poi il candidato sindaco, facendosi eleggere, infine, come consigliere comunale di Noi con Salvini. E' chiaro che le primarie aperte non funzionano: d'altra parte, finiscono in Tribunale come a Napoli o fanno vincere il centrodestra, come a L'Aquila e Genova".

Detto delle primarie, "è evidente come il centrosinistra, verso il ballottaggio, non abbia fatto campagna elettorale, già impegnato a discutere i futuri assetti della Giunta; se si aggiunge che il candidato sindaco non ha scaldato i cuori e che dentro al Pd c'è stata un poco di maretta, e non tutti hanno remato dalla stessa parte, si capisce come sia maturato il risultato elettorale. Tra l'altro, è stata diffusa la percezione che fossero i dem a determinare gli equilibri della coalizione, con le altre forze che hanno rappresentato, per lo più, individualità sparse: non si è percepito affatto che c'era altro, oltre il Pd".

Perilli non si sottrae neppure ad un'analisi, e di nuovo senza sconti, del risultato della Coalizione sociale che si è presentata con tre liste a supporto della candidata sindaca Carla Cimoroni. "Il risultato della coalizione è stato deludente: rivendichiamo di essere la terza forza in città, ed è tecnicamente vero, ad essere precisi, però, più che di forza parlerei di presenza; col centrodestra che conta 20 consiglieri e la coalizione civico-progressista che ne esprime 11, sebbene Cimoroni sia una brava compagna è chiaro che avrà un ruolo da osservatore partecipante nella prossima legislatura". In effetti, la coalizione sociale raccoglieva le esperienze di Appello per L'Aquila, L'Aquila che vogliamo e Rifondazione comunista che, fino all'11 giugno, esprimevano tre consiglieri comunali: "E' chiaro che, ad oggi, non si può che parlare di esperienza marginale: se non si comprende che è necessario riaprire il dialogo con le forze di sinistra, la coalizione sociale resterà una forza ultra minoritaria".

Perilli rivendica di averci provato, prima delle elezioni: "sin da ottobre, col segretario regionale di Rifondazione comunista, avevamo promosso una serie di riunioni: l'idea era di creare una coalizione di sinistra che, soltanto dopo, avrebbe potuto discutere al suo interno valutando se presentarsi in autonomia - con Articolo 1, Territorio Collettivo e altri - e avremmo preso certamente più del 6%, o se allearsi col Partito Democratico, qualora i dem non avessero messo in campo il fronte renziano come, in effetti, è accaduto. Ora, sento dire che avremmo dovuto farlo: all'epoca, però, una parte impose una pregiudiziale secca, mai col Pd al di là di chi sia il candidato [chiaro il riferimento ad Appello per L'Aquila e L'Aquila che vogliamo, ndr], con l'altra che ha preferito porsi come satellite dei dem, tanto un consigliere l'avrebbero eletto tutti. Sappiamo come è andata".

L'ex capogruppo di Rifondazione comunista non crede che le forze di minoranza potranno mettere in campo un'opposizione politica, in Consiglio comunale: "così come composta, con esponenti politici moderati e poco abituati all'opposizione - dagli esponenti del Passo Possibile a tre quarti del Partito Democratico - non sarà che una opposizione tecnica, con Angelo Mancini e Giustino Masciocco in particolare, ma sarà difficile riesca ad assumere una dimensione politica". Ecco dunque che - rileggendo le interviste rilasciate a NewsTown da Luca D'Innocenzo e Fabio Ranieri [qui] - apre all'idea di ricostruire un campo di sinistra in città: "Tutti hanno ragionato ponendo al centro il Pd, in termini di dipendenza - dobbiamo stare per forza con loro così eleggiamo un consigliere - o in termini di controdipendenza - dobbiamo andare per forza contro; in entrambi i casi, si è stati dipendenti dal Partito Democratico. Non bisogna ragionare mettendo al centro i dem: è necessario costruire un campo di forze autenticamente di sinistra, senza porre dei veti - a livello locale è più semplice che a livello nazionale - facendolo vivere in città, ci sono 5 anni per riuscirci, e, soltanto quando sarà il momento, valutando se presentarsi alle elezioni in modo autonomo o se allearsi con ciò che rimarrà del Pd. Immagino che tra 5 anni, la leadership divisiva di Renzi non ci sarà più. Nel frattempo, va strutturato un campo largo da Articolo 1 ai civici, passando per Rifondazione comunista, Territorio Collettivo e Sinistra Italiana. Sono d'accordo con la lettura data da D'Innocenzo e Ranieri ai vostri microfoni: ravviso, però, che qualche errore l'hanno fatto anche loro, in particolare Ranieri che, con Progetto L'Aquila, ha pensato di poter condizionare le dinamiche interne ai dem". 

Rifondazione comunista - assicura Perilli - "sta riflettendo seriamente sugli errori commessi: andare ad oltranza contro tutto e tutti non paga, piuttosto bisogna aprirsi al dialogo, a livello locale, come detto, e così al livello nazionale: auspico una lista unica, da Pisapia a Rifondazione". Una posizione con non collima perfettamente con quella del segretario nazionale Maurizio Acerbo che, nel recente forum organizzato dal Manifesto, ha lasciato intendere come preferisca ragionare di una lista unica con Sinistra Italiana. "Scontiamo il veto di Massimo D'Alema che ha ribadito di voler costruire un listone da Articolo 1 a SI, escludendo Rifondazione; venisse meno, anche noi dovremmo aprirci al dialogo. Mi spiego: se è vero che D'Alema e Bersani hanno sostenuto, in questi anni, politiche liberiste, è vero anche che sembra si siano ravveduti uscendo dal Pd; ebbene, ragioniamo al presente altrimenti rischiamo di restare schiavi del passato, come chi sostiene di non volere alleanze con Rifondazione perché, vent'anni fa, determinò la caduta del governo Prodi".

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