Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Fabrizio Giustizieri e Pierluigi Iannarelli* Interessante la riflessione aperta da Nello Avellani [qui] circa il senso della Politica ed il “che fare”, anche alla luce della discussione in atto nel Partito Democratico cittadino ma che non riguarda solo il PD e non riguarda solo la città dell’Aquila.
Se nel 1992 Fukuyama aveva analizzato la “fine della storia” con il raggiungimento, su scala planetaria, di quella che ai suoi occhi poteva essere la forma più perfetta possibile di Stato, ossia lo Stato liberal-democratico, incapace di degenerare in nulla di peggio e figlio di alcuna degenerazione, è altrettanto vero che la Storia gioca sempre la sua partita e ad ogni giro mescola le carte.
La Sinistra dovrebbe ripartire da una domanda di senso: “oggi viviamo nel migliore dei mondi possibili”? Se la risposta è Sì, allora è inutile ed un po’ ipocrita proclamare la necessità di una riorganizzazione delle forze del cambiamento in quanto dobbiamo accontentarci, al massimo, di guidare i processi storici in atto; se la risposta è No allora dobbiamo avere il coraggio di denunciare tutti gli errori che abbiamo commesso e rimetterci in cammino per trasformare questo mondo, dove imperano ingiustizie e discriminazioni, in un mondo a misura dei nostri sogni migliori.
L’uomo creatore di Storia, per dirla con Antonio Gramsci.
La caduta del muro, atto finale di un processo lungo, ha segnato in Italia la corsa all’accantonamento di una cultura e di una storia politica che, anche se spesso per contrapposizione, ha generato cambiamento e progresso: la sanità per tutti, la scuola per tutti, l’allargamento dei diritti civili (in un paese a forte impronta cattolica), lo statuto dei lavoratori etc, non sono concessioni del potere ma conquiste ottenute dal conflitto.
Come giustamente è stato affermato: la paura delle rivoluzioni genera riforme. Nel 2007, quando Veltroni portava a termine, non senza resistenze, un lungo percorso di “normalizzazione” di quello che era stato il più grande partito comunista d’occidente (ricordate la battuta della tessera n. 1 all’ing. De Benedetti?), in molti si preoccuparono della mancanza, a sinistra, di una forza della “non accettazione del presente”. Il PD si candidava ad essere un partito di classe dirigente, un partito che “non poteva non essere al governo delle cose”, un partito la cui funzione storica era (ed è) quella di “guidare i processi”, un partito che non si accorgeva delle disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione e dalla sempre più massiccia finanziarizzazione incontrollata dell’economia: sostanzialmente un partito figlio della fine della Storia mentre nessun progetto credibile era pronto per rappresentare “quelli che non accettano lo stato attuale delle cose”.
Si è provato e riprovato, sommando insuccessi e sconfitte, a dare un corpo ed una casa alla Sinistra, a quel pensiero che voleva tenere viva “l'aspirazione a un mondo migliore; l'emancipazione degli oppressi, degli sfruttati, degli umiliati, degli offesi; l'universalità dei diritti dell'uomo e della donna” (E. Morin), provando a rileggere il tutto in chiave ambientalista, ma il treno della Storia, aiutato dalla sempre più marcata degenerazione nei costumi dei partiti, ha reso l’impresa ciclopica degradando l’aspirazione di grandezza in lotta per la sopravvivenza: dal voler illuminare il mondo a mantenere viva la fiaccola.
Mentre il capitalismo, portando alle estreme conseguenze la propria natura, ha proseguito il suo attentato al pianeta Terra, devastando la natura per la sfrenata ricerca del profitto e del soddisfacimento di bisogni spesso indotti da un consumismo sfrenato, fuori dalla politica organizzata è cresciuta una particolare attenzione ai temi dell’ecologismo che, purtroppo, i partiti politici ancora non sono riusciti a fare propria soprattutto quando dalle belle teorie dovrebbero passare alle giuste pratiche locali.
Ad alimentare la disaffezione per le forme organizzate della lotta politica ha poi contribuito la vulgata, soprattutto a sinistra, del “non importa il partito, importa la persona” e dell’ “io voto la persona, mica il partito”. Le primarie, mito fondativo del PD, sono a testimoniare che i partiti oramai non servono più ma che il rapporto deve essere diretto tra eletto e base elettorale. Quelle scelte che prima venivano prese dopo giorni e giorni di riunioni, incontri, dibattiti ed analisi ora sono prese in una bella domenica di sole in cui si richiamano i cittadini (sempre meno a dire la verità) a scegliere “la persona”.
Se non importa il Partito, se tutto è nelle mani degli eletti, se tanto poi si fanno le primarie e si decide, se i partiti si trasformano in comitati elettorali, allora è corretto che il dirigente politico, che non riconosce più quel partito come il proprio comitato elettorale, metta su un’associazione con cui coinvolgere e mobilitare i propri elettori e sostenitori. Se, al contrario, i partiti servono allora vanno fatti funzionare per quello che sono, ossia “organizzazioni di parte” perché è dal conflitto delle parti che si fa la Storia.
Ci piace il richiamo fatto da Fulvio Angelini al conflitto [qui], al riproporre una battaglia delle idee, a rilanciarci in sfide alte e fatte a viso aperto. Siamo d’accordo che la passione si pratica e solo praticandola appassioniamo e riusciamo a far appassionare gli altri. Apriamo i conflitti in città, in questa città amministrata da una giunta sovranista che ha dato il peggio di sé nella questione buoni pasto, discriminando sugli ultimi anche nella crisi più profonda. Confrontiamoci sui grandi temi e decliniamo le nostre proposte attraverso una pratica politica coerente anche qui, nella nostra città.
In questi giorni al centro della discussione di una buona parte del mondo c’è il tema del razzismo, della discriminazione in genere e di come manca l’aria quando i diritti vengono compressi. A L’Aquila non è possibile seppellire persone di religione musulmana o di altro culto ed il respiro non manca solo quando hai un ginocchio che preme sul collo.
Facciamo un primo passo tutti insieme e vediamo se riusciamo a mettere al centro di un’azione politica condivisa ed appassionante il tema dell’uguaglianza e dell’accoglienza: prepariamo e presentiamo alla città un appello affinché il cimitero dell’Aquila riservi una zona per i defunti di culto diverso da quello cristiano. In passato gran parte degli immigrati non puntavano a fermarsi stabilmente in Italia e, spesso, desideravano anche e soprattutto da morti, tornare a casa. Ora non è più così: parliamo di persone che vedono il loro futuro in Italia, persone che sono in Italia da molti anni o addirittura sono nate in Italia da genitori immigrati. Queste donne e questi uomini vogliono avere i loro defunti vicino. Quando ti muore una persona cara, vorresti pensare al tuo lutto, non a dove mettere il suo corpo. Fare discriminazioni sui morti è veramente una cosa penosa.
Noi ci stiamo, Noi siamo pronti a dare battaglia. Se è giusto aprire conflitti, iniziamo ad aprire conflitti! Noi siamo in campo!
*Fabrizio Giustizieri e Pierluigi Iannarelli per il Circolo di Sinistra Italiana L’Aquila