I puntellamenti a chiamata diretta? “Una procedura malata ma necessaria perché dettata dall'emergenza”. I consiglieri comunali che diventavano procacciatori di affari per le imprese? “Una cosa che ho sempre denunciato ma sulla quale non sono mai stato ascoltato”. Le inchieste della magistratura? “Uno schermo dietro al quale una parte della città sta nascondendo le proprie responsabilità”.
A 48 ore dalla nuova ondata di arresti e avvisi di garanzia scaturiti dall'operazione Redde rationem - l'inchiesta della procura dell'Aquila che ha scoperchiato un altro presunto giro di mazzette collegato alla ricostruzione (in particolare, ai lavori di puntellamento e messa in sicurezza) - il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente rompe il silenzio.
Non lo fa con una conferenza stampa o un comunicato ufficiale (da molti atteso, l'altro ieri, ma mai arrivato) ma con un'intervista alla nostra testata.
Dopo lo scoppio dell'ennesimo scandalo, molti aquilani si sarebbero aspettati, non solo dal primo cittadino ma da tutta la classe politica locale, come minimo dei commenti, delle dichiarazioni ma anche delle analisi e delle prese di posizione più o meno precise.
Invece, eccezion fatta per Appello per L'Aquila che vogliamo - il gruppo consiliare di Vincenzo Vittorini e Ettore Di Cesare – nessun partito ha sentito il bisogno o creduto opportuno dire qualcosa.
Lo stesso Cialente ha aspettato la tarda serata di lunedì per fare le prime affermazioni e le prime valutazioni, affidate, come accade spesso, a Facebook e scritte in risposta alle sollecitazioni e alle domande sollevate da alcuni aquilani che chiedevano di saperne di più.
Un buona domanda di partenza, allora, potrebbe essere questa: come si spiegano il “silenzio assordante” e l'afasia di un'intera classe politica?
“Non c'è stata né c'è nessuna volontà di tacere” dice Cialente “ Ieri (lunedì, ndr) ero a Roma. Ho saputo dell'operazione in mattinata ma ho avuto notizie più precise solo intorno alle 10:00. Ho voluto aspettare di avere altri elementi prima di commentare”.
Pur non minimizzando la gravità delle accuse e riconoscendo l'importanza del lavoro svolto dalla magistratura (“che, grazie alle forze dell'ordine e all'aiuto del territorio, sta tenendo fuori dalla ricostruzione infiltrazioni mafiose”), Cialente sembra però voler ridimensionare o, meglio, relativizzare (forse anche sulla scorta di quanto accaduto con l'indagine “Do ut des”, non ancora approdata, dopo un anno e mezzo, all'udienza preliminare, ndr) i fatti portati alla luce dagli investigatori: “Mi sembra che questa vicenda sia una coda di quella dell'anno scorso e che abbia a poco a che fare con episodi specifici. Vedo questa inchiesta come una continuazione di quella vecchia. Per quanto riguarda le accuse mosse ai funzionari del Comune, sono relative a un abuso di ufficio non legato alla ricostruzione ma a un riconoscimento di alcune autocertificazioni”.
“Siccome” continua Cialente “ho letto alcune polemiche sui puntellamenti, voglio che si sappia che abbiamo creato, all'ex Sercom, una struttura ad hoc dove portare i pezzi che vengono smontati. Sarà l'Asm a controllare e poi a vendere questa roba, di proprietà del Comune".
“Dal punto di vista politico” prosegue il sindaco “mi sento di fare due valutazioni: la prima è che questo territorio si era battuto per avere delle white list ma il ministero si è opposto. Siamo stati - la magistratura, la procura antimafia, le forze dell'ordine – lasciati soli. La seconda valutazione” spiega Cialente “è la seguente: stiamo attenti a dire che questa storia riguarda solo i politici. Qui stanno succedendo cose immorali anche da parte dei cittadini. Sono molto dispiaciuto, inoltre, che, a fronte del lavoro che fa la procura, non si facciano i processi. È normale che per Do ut des ancora non si arrivi alla prima udienza preliminare per decidere sui rinvii a giudizio?”.
Cialente, dunque, chiama in causa anche la città e gli aquilani, una parte dei quali, secondo lui, sarebbe corresponsabile dell'illegalità perché accondiscendente e omertosa rispetto al malaffare.
Per quanto riguarda puntellamenti - la grande abbuffata in cui si sono lanciate molte imprese locali - “noi non volevamo farli in quel modo. Di Gregorio in particolare era contrario. Fu Gabrielli a volere che a occuparsene fossero i Comuni. Deve essere chiaro che i puntellamenti erano un'opera di assoluta urgenza e, proprio in virtù di questa loro necessità, dovevano essere fatti con affidamenti diretti. Quando le ditte andavano a fare i puntellamenti, siccome per molti palazzi avevano già fatto qualcosa i vigili del fuoco, non sapevano cosa avrebbero trovato. Si andava un po' a occhio, anche il progetto non era facile a farsi. Si procedeva in questo modo: entravi, levavi le macerie al piano terra e iniziavi a fare il puntellamento in base a quello che trovavi. Certo non potevamo fare controlli preventivi. E' chiaro che questa, di per sé, è una procedura discutibile, malata, che dà adito a sospetti. Ma non c'era alternativa. Se i puntellamenti li avesse gestiti la Protezione civile, il dubbio ci sarebbe stato lo stesso”.
Insomma, secondo Cialente era inevitabile che l'emergenza, il dover agire rapidamente andando in deroga a determinate leggi, avrebbe generato effetti perversi, crimonogeni.
Ma che l'affaire puntellamenti si trasformasse in un mercimonio in cui, a fare da mediatori, erano consiglieri comunali, cioè amministratori pubblici, forse poteva essere evitato: “Quante volte” risponde Cialente “ho denunciato questa cosa? Quante volte ho detto che c'erano consiglieri comunali che aprivano uffici? Andai a esporre le mie perplessità agli organi preposti, mi venne detto che la magistratura e le forze dell'ordine non possono fare prevenzione ma repressione. Ed è vero, a fare prevenzione avrebbe dovuto pensarci lo Stato. E qui voglio fare una riflessione: dopo la vicenda dei casalesi, la visita della Bindi, di Legnini e del procuratore nazionale antimafia, venuti qui a dirci quello che avremmo dovuto fare, abbiamo proposto le white list, che sono certamente una forma di prevenzione. Il ministero degli Interni però le ha bocciate. Mi chiedo allora: chi fa la prevenzione?”.
Cialente sostiene di aver sempre messo all'erta non solo le autorità giudiziarie ma anche quelle politiche sui pericoli che si correvano, ricorda di aver chiesto delle leggi, cioè delle regole, ma afferma di non essere mai stato ascoltato: “Non sono stato ascoltato da quattro governi. C'è questo Illuminismo romano in cui a decidere sul nostro futuro ci sono dirigenti che all'Aquila non sono mai venuti. A me sta bene tutto ma vedere che molte persone che fanno le indignate o predicano sono le stesse che non stanno mantenendo alto l'onore degli aquilani, questo davvero non lo sopporto”.
“Vicende come Do ut des, casalesi, Redde rationem” conclude Cialente “per parecchi costituiscono uno schermo rispetto al quale chiudere una parte delle proprie responsabilità. Cerchiamo di essere tutti più seri, di denunciare l'illegalità, se ce la troviamo di fronte. Io questa cosa l'ho fatta, chi altro la sta facendo all'Aquila?”.