Terzo appuntamento con "Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma", la guida turistica che tra il serio e il faceto racconta L'Aquila di ieri e di oggi. Dopo la prima puntata dedicata alla zona del Castello Cinquecentesco, siamo arrivati a Collemaggio, di cui vi abbiamo già parlato domenica scorsa [qui la prima parte]. Oggi continuiamo ad esplorare l'area, e dopo aver parlato della Basilica omonima, ci concentreremo sul Parco del Sole, situato a pochi passi dalla Basilica stessa. Ma la narrazione su Collemaggio non si ferma qui, domenica prossima ci sarà la terza e ultima parte, prima di trasferirci in un'altra zona della città.
Se negli anni anche voi (come me) siete stati visitati da amici o parenti provenienti da altre città, meglio ancora se del Nord e con al seguito cani da far passeggiare, probabilmente avrete anche voi (come me) dovuto sostenere la surreale conversazione riguardante la mancanza di spazi verdi all'Aquila. Basta affacciarsi da una qualsiasi finestra di una qualsiasi casa della nostra città (beh, magari escludendo i vicoli del centro) per non poter fare a meno di notare che il colore dominante è il verde. C'è il verde di Roio, quello delle montagne più lontane, c'è quello delle aiuole spartitraffico, degli alberi che costeggiano le vie della città (almeno quelli che riescono a sopravvivere all'immaginario futurista di certi assessori), quello della Villa o del Castello, quello di Collemaggio. Se vi affacciate alla vostra finestra e non vedete verde è presumibile che abbia nevicato.
Ho quindi sempre trovato pretestuose le lamentele dei miei amici nordici canimuniti incapaci di trovare adeguate soluzioni alle minzioni dei loro compagni quadrupedi persino portandoli a San Giuliano, che non è proprio una distesa di cemento, finchè ho realizzato che c'era un problema di incomprensione di fondo tra la mia lingua e la loro.
Per un cittadino metropolitano del Nord Italia, uno spazio verde è un'area artificiosamente sottratta all'urbanizzazione e trasformata in una sorta di non-luogo a sfondo naturalistico dove si consumano i peggiori clichè della paesaggistica neoclassica, adattati al ventunesimo secolo. Distese di prato all'inglese prodotto in comodi rulli fanno da scenario a vialetti in ghiaia sufficientemente selezionata da non offendere le zampe dei cani metropolitani, vialetti costeggiati a loro volta da ciclabili in grado di offrire persino l'impressione del saliscendi al manager stressato che le percorre in pausa pranzo prima di rituffarsi nella sua desolazione pomeridiana. Chioschi ombreggiati da alberi perfettamente potati offrono ristoro a vitaminiche coppie che sorseggiano orzate guardando tramonti, e stazzi riservati alle evoluzioni canine pullulano di Labrador e Cocker che familiarizzano guardando tristi fuori dal recinto con uno sguardo in cui si legge a chiare lettere “non mi merito tutto ciò”.
Per noi no.
Per noi c'è Parco del Sole. Parco del Sole è quanto di più vicino ad un parco del Nord Italia sia mai stato realizzato in città e, ovviamente, non ci somiglia neanche un po'. Alle nostre latitudini la riproposizione dei clichè pseudo-naturalistici di cui si parlava poc'anzi ha prodotto enormità tutte locali, a cui però tutti ci siamo negli anni affezionati tanto da accoglierle nel nostro privatissimo Pantheon dei luoghi sacri.
Si accede al parco da un ingresso principale che dà sul piazzale di Collemaggio, e subito un breve vialetto ci porta tra due ali di terrazzamenti che almeno una volta l'anno si riempiono di stand enogastronomici di corredo a feste dell'Unità o a concerti rock. Qualche speranzoso amministratore ha disseminato negli anni questi spazi di giochi per bambini e campetti per ragazzi più grandi, ma la scarsissima manutenzione e l'infimo senso civico di qualche simpatico vandalo hanno reso di fatto inutilizzabili queste strutture costringendo i più piccoli a compiere un qualcosa che nessun genitore moderno è in grado di accettare in maniera indolore: giocare come facevamo noi.
Alla fine del vialetto sorge una struttura che sembra messa lì apposta per ospitare un baretto: ben ombreggiata, con uno spazio per tavolini esterni, prospiciente il campo da calcio\basket\laqualunque dove orde di giovani assetati effondono i loro sudori. Inutile dire che, ovviamente, del baretto non c'è traccia, e se vi troverete a passeggiare o a fare due tiri a parco del Sole nel caldo di luglio potrete placare la vostra sete nella fontanella poco lontano.
Alla fine del viale si apre il vero spettacolo del parco, la cavea naturale che per anni ha ospitato concerti molto suggestivi nelle calde sere estive. Pur trattandosi, tecnicamente, di un prato, non è neanche cugino lontano dei prati all'inglese a fette dei parchi del Nord. Rustico e selvatico come tutto ciò che cresce dalla terra da queste parti, l'altezza della sua erba è regolata più dalle pressioni corporee dei tanti giovani che lo eleggono da marzo a ottobre a location dei loro pomeriggi che da regolari interventi di giardinaggio. Verso la fine dell'anno scolastico è spettacolo comune vedere ragazzi che, da soli o in gruppo, si danno grandi arie di studiosi ostentando monografie su Pascoli o compendi di storia contemporanea mentre leggono al sole su plaid quadrettati. Come ben sappiamo tutti, ovviamente la frase “vado a studiare a parco del Sole, mi concentro meglio” va tradotta con “oggi è il tredici maggio, ho finito le interrogazioni, c'è un sole da antologia e dentro casa non ci resto neanche pagato”.
Tutto intorno alla cavea si snoda un vialetto asfaltato che nelle intenzioni del suo ideatore potrebbe anche essere stata una pista ciclabile. Ora c'è da considerare che la pista in questione ha un dislivello considerevole, tale da mettere in difficoltà gli atletici podisti che la intraprendono, per cui sarà con estrema difficoltà che vedrete una famigliola in bici affrontare quella specie di piccolo Stelvio.
L'incuria si sta pian piano riprendendo anche il piccolo stagno che si incontra risalendo, e dove non sembra esserci più traccia delle papere che una volta erano lì ospitate.
Insomma, se mi calo nei panni dei miei amici del Nord in fondo hanno ragione loro. Non è che il verde all'Aquila sia particolarmente fruibile. Però c'è qualcosa, in tutto questo selvatico e malcurato, che in fondo ha un fascino. I parchi padani mi annoiano, qui devo stare attento a dove metto i piedi. Dell'incuria e del vandalismo farei volentieri a meno, ma sicuramente anche della natura plastificata e finta che certi modelli di verde “ordinato” comportano.
In fondo, amici miei del Nord, se i vostri cani fanno pipì solo sui prati all'inglese il problema è vostro.