Il celebre archeologo e storico dell'arte ha tenuto la relazione finale della giornata “L'Aquila 5 Maggio. Ricostruzione civile”, un'iniziativa organizzata da Tomaso Montanari e da Italia Nostra.
"E' stata una giornata molto positiva. La pioggia non ha scoraggiato mille storici dell'arte dal venire qui all'Aquila a testimoniare la significatività di questo centro storico che è stato abbandonato e a ricordare agli italiani che L'Aquila non può morire".
A parlare, alla fine di un lungo e applauditissimo intervento, è Salvatore Settis. E' stato lui, l'ex direttore della Normale di Pisa, archeologo e storico dell'arte di fama mondiale, a chiudere la giornata - organizzata da Tomaso Montanari con il supporto di Italia Nostra e di altre associazioni - nella quale centinaia di storici dell'arte (studenti, insegnanti di scuola, professori universitari, ricercatori, funzionari del Mibac) si sono dati appuntamento all'Aquila, nel centro città, per osservarne le condizioni a quattro anni dal terremoto.
Quasi mille di questi esperti (ai quali si sono aggiunti tanti cittadini aquilani), sfidando la pioggia battente, in mattinata hanno sfilato per le vie dell'Aquila ancora distrutta e disabitata per poi darsi appuntamento, nel pomeriggio, nella chiesa che si affaccia su piazza S. Biagio, l'unico edificio di culto del centro storico ad esser stato interamente restaurato e restituito alla città.
"Il nostro ruolo", ha detto Settis, "è quello di essere la coscienza critica del Paese e di ricordare al Paese, e anche a noi stessi, che la storia dell'arte non è una disciplina buona per passare week end di evasione dalla realtà ma un modo per vivere la realtà profondamente, per capire profondamente quello che può e deve succedere e cioè il ruolo strettissimo fra l'arte e la vita civile".
All'iniziativa hanno partecipato anche il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente, il direttore regionale dei beni culturali Fabrizio Magani e il neo ministro dei beni culturali Massimo Bray.
Quest'ultimo, reduce dalla visita di sabato a Onna, dove aveva presenziato l'inaugurazione del cantiere di restauro della chiesa parrocchiale, per la verità è rimasto un po' in disparte, mantenendo un profilo volutamente basso e dribblando le domande dei cronisti. "L'incontro promosso oggi è un fatto molto importante, una testimonianza di attenzione che tutti dobbiamo per questa città" si è limitato a dire Bray. "Certo, l'impatto con quanto ho visto è stato molto doloroso". Il ministro, durante l'assemblea, non ha preso la parola, limitandosi ad ascoltare gli altri relatori e quasi fuggendo via alla fine del succedersi degli interventi.
Chi invece ha parlato, con toni e accenti appassionati, è stato, come si diceva, Salvatore Settis. "L'errore più grande fatto all'Aquila" ha detto Settis "è stato abbandonare a se stesso il centro sostenendo che la città dovesse rinascere attraverso queste cosiddette new town che sono soltanto dei luoghi di deportazione, città satelliti senza spazi per la vita sociale. Quando si disgrega il tessuto sociale in questo modo", ha aggiunto lo storico, "l'etichetta di newtown, che, ricordiamolo, fa riferimento a un esperimento urbanistico inglese degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, è usata in modo improprio, anzi direi addirittura blasfemo. Se rinunciamo a salvare L'Aquila» ha concluso Settis «vuol dire l'Italia vuole rinunciare a se stessa".
Il documento finale degli storici dell'arte
«Gli storici dell’arte riuniti all’Aquila oggi, 5 maggio 2013, intendono scuotere con forza tutte le istituzioni e ogni cittadino italiano. Vogliamo ricordare che non ha paragone al mondo la tragedia di un simile centro monumentale abitato che ancora giaccia distrutto, a quattro anni dal terremoto che l’ha devastato e a quattro anni dalle scelte politiche che l’hanno condannato a una seconda morte.
La prima cosa che vogliamo dire è che l’Aquila è una tragedia italiana, non un problema locale. È questo il senso della nostra presenza fisica, è questo il senso della volontà di guardare con i nostri occhi i monumenti aquilani in rovina. L’articolo 9 della Costituzione impone alla Repubblica di tutelare il patrimonio storico e artistico «della Nazione» attraverso la ricerca: ecco, oggi la comunità nazionale della storia dell’arte è all’Aquila. Per dire che il centro dell’Aquila è un unico monumento di assoluto valore culturale che appartiene alla Nazione: e che ora la Nazione deve essere al servizio dell’Aquila.
Mai come oggi, mentre finalmente i primi ventitré cantieri iniziano a prendersi cura di alcuni tra gli edifici monumentali del centro, è vitale che il sapere critico, la ricerca, l’insegnamento, la professionalità degli storici dell’arte siano a disposizione degli organi di tutela pubblici. E noi ci siamo.
Siamo anche profondamente consapevoli del valore civile della storia dell’arte, e non accettiamo la riduzione della nostra disciplina a leva dell’industria dell’intrattenimento ‘culturale’ al servizio del mercato.
Ed è per questo che affermiamo con forza che la ricostruzione della città di pietre non basta. Per questo la nostra giornata è intitolata alla «ricostruzione civile».
Gli storici dell’arte sanno che la città di pietre ha senso solo se è vissuta, giorno dopo giorno, dalla comunità dei cittadini. E questo legame vitale all’Aquila è stato volontariamente spezzato. Così, anche ammesso che, tra vent’anni, riusciamo ad avere l’Aquila com’era e dov’era, avremo una generazione di aquilani che non è cresciuta in una città, ma nelle cosiddette new town: cementificazioni del territorio senza alcun progetto urbanistico, e anzi immaginate come somme di luoghi privati. Senza spazio pubblico, senza arte, con un paesaggio violato.
Dunque, gli storici dell’arte riuniti all’Aquila chiedono con forza:
1) Che il restauro del centro monumentale dell’Aquila, inteso come un unico e indivisibile bene culturale da proteggere, sia la prima urgenza della politica nazionale del patrimonio culturale. Che il flusso del finanziamento sia costante, e che l’andamento dei lavori sia pubblico, e totalmente trasparente. Che questo processo riguardi anche tutti gli altri centri storici del cratere, parti di un unico sistema ambientale, paesaggistico, urbanistico, storico-artistico.
2) Che l’Aquila risorga com’era e dov’era. Che non si ricorra a demolizioni, e non si ceda all’assurda tentazione di improprie ‘modernizzazioni’ del tessuto urbano che violino la Carta di Gubbio. Che il significato civile e sociale di ogni monumento, del suo aspetto storico e della sua connessione con tutto l’organismo urbano che lo accoglie, sia considerato il primo, più importante, inderogabile valore.
3) Che si rinunci ad ogni progetto di trasformare l’Aquila in una sorta di Aquilaland, cioè in un parco a tema che estremizzi quella perdita di nesso tra monumenti e cittadini che consuma giorno per giorno città come Venezia e Firenze. Per questo diciamo no ai progetti di realizzare parcheggi sotterranei, centri commerciali, richiami turistici a spese del tessuto storico monumentale e abitativo.
4) Che il restauro del centro sia progressivamente accompagnato dal ritorno degli abitanti. Non possiamo aspettare venti anni per far trasferire gli aquilani dalle ‘new town’ nelle loro vere case: bisogna immaginare una politica di incentivi che acceleri questo processo, e che faccia progressivamente rivivere il centro. Per far questo, la ricostruzione deve inserirsi in una pianificazione urbanistica governata dalla mano pubblica, e non deviata da interessi privati. A questa pianificazione spetterà anche decidere del futuro delle ‘new town’: alcune dovranno essere abbattute, per ripristinare il paesaggio, altre potranno forse trovare un uso proficuo, ma solo all’interno di un piano preciso.
Non c’è più tempo: il momento di restituire l’Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani e alla nazione italiana è ora».
La fotogallery di Silvia Santucci