"Eviterei generalizzazioni su meccanismi di malaffare che purtroppo si sono verificati nel cratere. In passato però, più che nel periodo recente, nonostante la forte intensificazione dell'attività ricostruttiva. Ho detto personalmente alle autorità giudiziarie che l'interesse del Governo è che si facciano più controlli, che ci sia rigore e inflessibilità nel perseguire attività illecite e malavitose".
Parole del sottosegretario all'Economia con delega alla ricostruzione, Giovanni Legnini, ai microfoni di Radio Popolare. Nel fine settimana, un gruppo di ascoltatori della storica emittente della sinistra milanese ha visitato L'Aquila con la guida di Viaggi e Miraggi Abruzzo, onlus di turismo responsabile. Con loro, la giornalista Silvia Giacomini che, sin dai primissimi giorni che seguirono il terremoto del 6 aprile, ha raccontato cosa stava realmente accadendo in città. Per l'occasione, Radio Popolare ha dedicato alla ricostruzione l'approfondimento del mattino, con una trasmissione [potete ascoltarla qui] pensata insieme alla redazione di NewsTown che, partendo dagli arresti nell'ambito dell'inchiesta 'Dirty Job', ha tracciato i contorni del nuovo impianto normativo che Legnini intende presentare all'esecutivo entro il 20 luglio.
"Ci sono delle carenze nella normativa", ha riconosciuto il sottosegretario. "Il fatto che ci sia l'indennizzo pubblico per la ricostruzione privata e che però la stanzione appaltante sia un soggetto privato rende non facile adottare soluzioni normative che, in genere, vengono applicate alla ricostruzione pubblica".
Dunque, è necessario immaginare soluzioni innovative: "Ho in mente di travasare - per così dire - talune norme stringenti che sono contenute nella disciplina degli appalti pubblici anche alla ricostruzione privata: certo non un'estensione tout court, sarebbe sanzionata dall'Unione Europea per violazione dei principi di concorrenza, ma qualcosa si può fare. Penso, ad esempio, al divieto di cessione del contratto d'appalto. A L'Aquila, abbiamo la netta impressione che si faccia attività di intermediazione dei contratti di appalto privati, in modo molto diffuso. E' legittimo, intendiamoci: se una impresa privata cede il contratto di appalto articolato con un soggetto danneggiato dal terremoto non compie un illecito. Tuttavia, è lì che va a infilarsi la criminalità organizzata. Così come nella totale libertà di concedere subappalti. Stiamo pensando di estendere la disciplina dei subappalti prevista per gli appalti pubblici anche alla ricostruzione privata. Inoltre, è necessario un controllo stringente delle presenze nei cantieri, una mappatura delle imprese che lavorano nel cratere e della concentrazione stessa degli appalti. Non è affatto semplice, perché vige una rigorosa disciplina sulla privacy, ma possibile".
Evidentemente, il rischio è che qualcuno remi contro l'iniziativa normativa che Legnini ha intenzione di presentare al Governo. "E' già successo nell'immediato post terremoto, sull'onda degli interventi emergenziali che hanno portato all'insorgere di episodi molto gravi, con un eccessivo dispendio di risorse. Penso ai puntellamenti, a titolo di esempio. Stavolta, però, chi si opporrà ad una disciplina più stringente dovrà assumersene la responsabilità. Sono convinto che in Parlamento troveremo una larga condivisione".
Insomma, Legnini promette di superare l'immobilismo di questi anni: "C'è stato un intervento normativo importante, su iniziativa del ministro Barca: una normativa ben fatta, che sta funzionando relativamente alla governance. Sul punto specifico di applicare regole che potremmo definire 'pubblicistiche' ad un contratto privato, tuttavia, non c'è stata mai la giusta determinazione. Anche perché non è facile, e lo dico da avvocato amministrativista: ci si espone a rischi di censura dell'Unione Europea. Oggi, dal momento che il fenomeno di accrescimento delle commesse private è sotto gli occhi di tutti, la situazione è assai più favorevole ad un intervento".
Un intervento a cui il sottosegretario sta lavorando con le istituzioni locali. "Quello che si sta verificando era stato previsto dal Comune dell'Aquila già nelle riunioni di fine 2009, quando si stabilirono regole ferree per gli appalti pubblici dimenticando i cantieri privati". A dirlo, il sindaco Massimo Cialente che - al microfono di Silvia Giacomini - è un fiume in piena. "Siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento dell'indennizzo, invece del contributo, per evitare i grandi appalti che avrebbero fatto la fine del Mose e dell'Expo. Il nostro disegno, però, prevedeva che l'indennizzo, seppur di natura privata, venisse considerato di interesse pubblico perché finanziato con soldi dello Stato e perché era interesse della collettività una ricostruzione rapida e sostenibile. Invece, non si è posta alcuna regola".
Cosa non è stato fatto? Innanzitutto, incalza Cialente, "il numero di commesse affidate ad una impresa doveva essere direttamente proporzionale alla forza dell'impresa stessa. E vale in egual modo per gli studi di progettazione. Al contrario, nei mesi terribili che seguirono il sisma venne fuori il fenomeno del brokeraggio: molte imprese, alla canna del gas, vennero a L'Aquila esercitando - per usare un eufemismo - un'azione molto pressante. Scelsero dei broker aquilani, vale a dire figure abbastanza conosciute, consiglieri comunali in particolare di centrodestra, figure di spicco della società, e iniziarono a prendere commesse. Ci fu un accaparramento, un sovraccarico di incarichi per imprese che - evidentemente - stavano scommettendo su una ricostruzione lenta".
Spiega ancora Cialente: "Il ministro Barca fu l'unico che raccolse le mie denunce: purtroppo, è stato poi sostituito da Trigilia. E le azioni di sciacallaggio dell'allora titolare del dicastero della Coesione territoriale sono note: a gennaio in particolare, sulla vicenda giudiziaria che portò alle mie dimissioni per l'attacco durissimo che ho subito dal governo Letta e dalla stampa italiana, Il Sole 24 Ore in primis, e che era dovuto proprio a questi fenomeni".
"Qui si vendono le commesse", denuncia il primo cittadino. "Qui sono arrivate imprese, poi fallite, che hanno inziato a vendere le commesse. Lo dico da tempo. A fine 2009, ci fu un accapparramento di scritture private, nient'altro che pre-contatti: condomini, aggregati, hanno incaricato delle imprese senza che fosse noto neppure il contributo che sarebbe stato riconosciuto per la ricostruzione. E se oggi si decidesse di rivedere i pre-contratti, le imprese minaccerebbero ricorsi alle vie legali, intrappolando i cittadini per anni. Così, hanno la possibilità di vendere le commesse. E' successo, e succede tutt'ora".
Cialente racconta di scontri durissimi, ai tavoli romani: "Che dire poi dei subappalti: chi li ottiene? Chi sta entrando nella ricostruzione dell'Aquila? L'ho ripetuto spesso: la mafia e la camorra non prendono appalti, entrano con i subappalti. Sono stato inascoltato, e così per la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico". Il primo cittadino ricorda la lettera inviata a Napolitano alla metà di dicembre, per evitare che la Curia divenisse soggetto attuatore della ricostruzione dell'immenso patrimonio ecclesiale cittadino. "Guarda caso - sottolinea amaro - a gennaio è successo quel che è successo".
Il sindaco dell'Aquila è convinto che siamo dinanzi alla punta dell'iceberg, che altro emergerà "se vorranno farlo uscire". L'amministrazione comunale, però, non ha nulla da rimproverarsi. Anzi. "Abbiamo messo in piedi il meccanismo della filiera, che ha rallentato i tempi della ricostruzione facendo però risparmiare allo Stato quasi il 20%. Poi, ci siamo inventati la scheda parametrica: il meccanismo sta funzionando, la ricostruzione del cratere sarà la prima opera pubblica in Italia a costare meno del previsto. Se ci siamo opposti al contributo, è per evitare quanto accade quotidianamente con le opere pubbliche: viene istruito l'appalto, rispondono imprese con ribassi che arrivano anche al 42%, c'è poi il ricorso delle seconde e terze classificate a ritardare l'inizio dei lavori e, una volta aperto finalmente il cantiere, l'impresa vincitrice si rivolge all'ingegnere e all'avvocato riservista. Quindi, l'appalto da 10milioni - che era stato affidato con un ribasso del 42% - finisce per costare 11 o 12milioni. Questa è l'Italia. Ecco perché ci battemmo per l'indennizzo: servivano delle regole, però. E le abbiamo chieste per anni. Dunque, non so proprio di cosa rimproverarmi: forse, avrei dovuto darmi fuoco. Ricordo che stiamo andando avanti da un anno con il miliardo e 200milioni che ho ottenuto con la decisione di ritirare le bandiere dagli uffici pubblici. Ora, i soldi sono finiti. Non ci sono risorse, non c'è mai stata una legge per la ricostruzione, e non ci sono regole".
Cialente non manca un ultimo affondo: "Credo siano stati tutelati interessi di poteri forti, molto forti, mi aspetto che prima o poi mettano della cocaina nella mia macchina, perché abbiamo cominciato a dar fastidio. Gli attacchi che abbiamo subito, anche personali, nascondono interessi trasversali, da destra e sinistra: questo è l'unico posto dove ci sono i soldi, qui si sono fatte manovre orrende".
Per fortuna, conclude Cialente, il clima sta cambiando: "Il governo finalmente mi sta dando retta, è convinto quasi più di me della necessità di regole stringenti. Stanno contando meno alcuni poteri: Legnini è sulla mia stessa lunghezza d'onda".