Chi si ricorda più di Do ut des, l’inchiesta legata a presunti illeciti nei lavori post sisma che nel gennaio 2014 travolse la giunta di Massimo Cialente, che arrivò a dimettersi (salvo poi tornare sui suoi passi) per la risonanza mediatica che la vicenda assunse anche fuori dalle mura cittadine? O di Redde Rationem, l’altra indagine su presunti giri di tangenti legati ai puntellamenti nata nel 2015 come costola di Do ut des?
Entrambe sono ancora nella fase dibattimentale, ma a breve i reati per cui gli indagati sono stati rinviati a giudizio saranno prescritti.
Do ut des e Redde Rationem sono due esempi di quel 75% di prescrizioni che in Italia matura prima ancora che si arrivi alla sentenza di primo grado, a dibattimento ancora in corso.
Una percentuale altissima, la cui causa non sono presunte strategie dilatorie messe in atto dagli avvocati degli imputati ma un cattivo funzionamento del sistema giustizia.
Una macchina che, sia a livello nazionale che locale, si è inceppata, afflitta da problemi e disfunzioni - dai continui turn over interni ai tribunali ai difetti di notifica delle citazioni a comparire, dalla mancanza di organico agli errori che spesso vengono commessi durante le indagini - il cui effetto finale è quello di privare i cittadini di un diritto fondamentale, tutelati dalla Costituzione e anche da leggi ordinarie - come la legge Pinto - ossia quello di aver un giusto processo in tempi ragionevoli.
“Anziché agire con una riforma organica della giustizia, di cui si parla da anni ma che non è mai stata messa in atto” afferma il presidente della Camera Penale dell’Aquila “Emidio Lopardi”, l’avvocato Gian Luca Totani “si approva una riforma della prescrizione che è una vera e propria presa in giro nei confronti dei cittadini e che avrà effetti contrari a quelli promessi”.
Totani ha tenuto una conferenza stampa insieme ad altri membri del direttivo della Camera Penale dell'Aquila – gli avvocati Marco Ferrone, Fabio Alessandroni e Maria Leone – per ribadire la contrarietà dei penalisti al provvedimento che si appresta a diventare legge.
Una misura contenuta nella legge Spazzacorrotti - varata a inizio 2019 dal Governo gialloverde, ma con efficacia differita di un anno - che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna.
Una disposizione criticata da più parti - non solo dagli avvocati penalisti ma anche da oltre 150 accademici - perché potrebbe portare a processi infiniti.
Si calcola infatti che siano circa 30mila all’anno i processi penali che, con l’entrata in vigore della riforma, prevista il 1° gennaio 2020, non avranno più scadenza.
La Camera Penale dell’Aquila, che poco tempo fa aveva prodotto una simulazione sugli effetti della riforma fortemente voluta dal ministro della Giustizia pentastellato Alfonso Bonafede, ha aderito alla mobilitazione indetta lunedì a livello nazionale dall’Unione Camere Penali, che prevede una settimana di astensione dalle udienze, fino al 7 dicembre, e in concomitanza una “maratona oratoria” che oltre mille avvocati stanno tenendo davanti la sede del palazzo della Cassazione, a Roma, in piazza Cavour. Un comizio ininterrotto per spiegare le loro ragioni e raccontare “storie di processi infiniti”.
“Chi difende questa riforma” osservano Totani e i suoi colleghi “lo fa sulla base soprattutto di un’argomentazione, quella secondo la quale i tempi infiniti dei processi penali sarebbero causati dalle strategie difensive dilatorie degli avvocati, che vogliono rallentare ad arte i procedimenti anche perché, così facendo, ne trarrebbero un maggior vantaggio economico. E’ un’argomentazione falsa: i processi sono lenti perché la macchina è lenta, perché tutto il sistema funziona male. Più della metà delle prescrizioni, in Italia, matura prima ancora che si arrivi alla sentenza di primo grado o addirittura durante le indagini preliminari, cioè in una fase in cui gli avvocati non toccano proprio palla. Le cause del cattivo funzionamento della giustizia penale sono altre e sono note da tempo. Una di queste è il continuo turn over nei tribunali. Per rimanere al caso aquilano, dopo il terremoto ne abbiamo avuti già tre e un quarto ci sarà a breve. Questa riforma produrrà degli ergastoli processuali, avrà effetti devastanti su tutto il sistema della giustizia e si ritorcerà contro gli stessi cittadini”.