Lunedì, 10 Novembre 2014 08:20

#Grandirischi, processo d'appello: sentenza attesa per le 16. La diretta di NewsTown

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Processo d'Appello alla Commissione Grandi rischi: dopo aver ascoltato le ultime repliche della difesa, il collegio giudicante - composto da Fabrizia Ida Francabandera (uno dei due presidenti di sezione Penale) e dai consiglieri Carla De Matteis e Marco Flamini - si è riunito in camera di Consiglio. La sentenza è attesa tra le 16 e le 17 di questo pomeriggio

In apertura dell'ultima udienza, l'imputato Giulio Selvaggi ha reso una dichiarazione spontanea. Successivamente, parola agli avvocati Filippo Dinacci -legale di Bernardo De Bernardinis e Mauro Dolce - e Franco Coppi che difende Selvaggi. 

Il collegio giudicante -  riunito in Camera di consiglio -  dovrà decidere se confermare il pronunciamento di primo grado del giudice Marco Billi che ha condannato i 7 scienziati componenti la Commissione a 6 anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni, come chiesto dal procuratore generale Romolo Como.

Sarà l'ultima parola sul processo più importante tra quelli scaturiti dagli oltre 200 filoni d'indagine aperti dopo il sisma per fare luce su cause e possibili responsabili dei crolli. Un processo che ha suscitato attenzione in tutto il mondo. E non stupisce affatto, per la particolarissima situazione giudiziaria che ha scatenato critiche e polemiche. Con una lettura spesso superficiale, se non artatamente mistificata, della sentenza di primo grado.

Agli imputati, infatti, si contesta la morte di 29 persone e il ferimento di altre quattro. Si tratta di personaggi molto noti nel mondo scientifico italiano: Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della Commissione grandi rischi, Bernardo De Bernardinis, già vicecapo del settore tecnico del Dipartimento di Protezione civile, Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Istituto di geofisica e vulcanologia, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del Progetto Case, Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce, direttore ufficio rischio sismico di Protezione civile.

Tra l'altro, il procuratore generale Como ha chiesto venga accolto l'appello del pubblico ministero perché la morte di una anziana donna - per la quale, in primo grado, gli imputati erano stati assolti - venga riconosciuta come conseguente alle 'false rassicurazioni' fornite dalla Commissione Grandi rischi.

Eccolo il cuore del procedimento: la rassicurazione disastrosa che seguì alla riunione del 31 marzo 2009. Si è parlato di 'processo alla scienza'. Erroneamente. Spesso con dolo. Se c’è una scienza che è andata sotto processo, è quella sociale. "Questa è una storia di accondiscendenza al potere politico: il Capo ordina di rassicurare, gli 'alti in grado' eseguono e gli esperti tacciono-avallano", ha spiegato il giornalista scientifico Ranieri Salvadorini che, su Lettera43, ha seguito con grande attenzione l'evolversi del processo.

Evidentemente, Salvadorini si riferisce alla tragica telefonata dell'allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso a Daniela Stati, all'epoca assessore regionale alla Protezione civile. E' il 30 marzo 2009, l'indomani si sarebbe riunita la Commissione Grandi Rischi: " … si e deciso di fare una riunione lì a L’Aquila… in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare… li faccio venire a L’Aquila, è una operazione mediatica… loro che sono i massimi esperti in terremoti diranno: lezione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano cento scosse di scala 4 Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia, e non ci sarà mai la scossa quella che fa male, hai capito !?…".

Il capo ordina di rassicurare, gli 'alti in grado' eseguono, e gli esperti tacciono-avallano.  "In questo processo - ha spiegato Salvadorini, cogliendo il senso della sentenza emessa da Marco Billi - le conoscenze scientifiche sono marginali e penalmente ininfluenti. Anzi, la scienza è la grande assente. Tutto il processo ruota infatti attorno alla verifica del 'nesso causale' che lega il messaggio di rassicurazione (uscito dalla riunione della Commissione Grandi Rischi) e un cambiamento di abitudini che, in 29 casi, si è rivelato fatale. Messaggio determinato, stando agli atti, dalla 'cattiva condotta' degli scienziati".

E' nel reato di 'mancato allarme', però, che si è oggettivizzata la narrazione del 'Processo a Galileo' con l’adesione acritica di molta stampa, a partire da quella specializzata.

Ha inteso ribadirlo anche Romolo Como, nella lunga requisitoria, sottolineando le pressioni - implicite ed esplicite - di larga parte del mondo scientifico, e non solo, che ha fatto quadrato intorno agli imputati. La Commissione Grandi rischi aveva tutti gli strumenti per istruire una valutazione di prevedibilità del rischio più fondata, con una analisi di prevenzione e previsione che poteva essere più concreta. Anche perché il terremoto dell'Aquila non è stato un evento atipico né eccezionale, anzi rientrava tra le normali vicende di un territorio sismico.

"Non si tratta di una sentenza di colpevolezza per non aver previsto il terremoto", ha incalzato Como. "Piuttosto, di una sentenza di condanna per l'errata e superficiale analisi degli indicatori di rischio e per la carente e fuorviante informazione veicolata ai cittadini".

Il procuratore generale ha spiegato come i membri della Commissione Grandi rischi sapessero benissimo che la riunione era stata fissata a L'Aquila perché, in città, si era creato un clima di allarmismo. Bertolaso intese dare alla riunione un connotato sociale e politico piuttosto che tecnico - si evince con chiarezza dalla telefonata con l'assessora Stati - e i membri della Commissione si prestarono alle intenzioni dell'allora capo della Protezione civile pur avendo tutti gli strumenti per analizzare in maniera compiuta l'evolversi di una situazione nient'affatto atipica. Dunque, fornirono risposte generiche e contraddittorie, nonostante la riunione fosse praticamente pubblica e - mediaticamente annunciata con grande clamore - avesse generato grandi aspettative nei cittadini, spaventati e disorientati. "La Commissione era attesa come una manna dal cielo", ha ricordato Como.

Il procuratore generale ha insistito molto anche sulla 'leggenda metropolitana' dello scarico d'energia che rassicurò i cittadini aquilani. "Più scosse ci sono, meglio è, significa che sta rilasciando energia": è per queste parole che in molti si convinsero a rimanere in casa al crescere delle scosse.
Parole pronunciate da Bernando De Bernardinis, già prima della riunione, in una intervista in cui ribadiva una affermazione che tutti i sismologi convengono sia stata sbagliata: non c'è alcuna correlazione infatti - positiva o negativa - tra la distribuzione nel tempo di scosse piccole e grandi. Parole che erano state già di Guido Bertolaso e che furono poi riportate da Franco Barberi all'attenzione dei sette 'scienziati', nel corso della riunione del 31 marzo: "Ho sentito il capo della Protezione Civile dichiarare alla stampa, anche se non è un geofisico, che quando ci sono frequenze sismiche frequenti si scarica energia e ci sono più probabilità che la scossa non avvenga". Nessuno reagì, però, ad una vera e propria 'bestialità scientifica'. Anzi, a leggere gli atti, Mauro Dolce, Enzo Boschi e Giulio Selvaggi dissero di "non ricordare" affatto quelle parole.

"Claudio Eva - scrive il giudice nella sentenza di primo grado - ritenendo poco opportuno esprimersi in termini critici su un’affermazione del capo della Protezione Civile preferì invece ‘aggirare in qualche modo la frase’ con un'eufemismo per cercare di dire e non dire". Per De Bernardinis la domanda fu posta 'più o meno ironicamente' mentre Franco Barberi commentò: 'Un riferimento anche un pò ironico'. Dopo l’ironia di Barberi calò il silenzio e si cambiò argomento.

Il 'mantra dello scarico d’energia' girò sui media (locali e nazionali) per giorni: tivù, giornali, Internet. Nessuno scrisse una sola riga di smentita, di precisazione o di presa di distanza.

Anzi. In apertura della prima udienza del processo d'appello, Attilio Cecchini, avvocato di parte civile, ha chiesto e ottenuto di poter depositare un audio esclusivo, tratto dalla trasmissione 'Presa Diretta' dal titolo 'Gli irresponsabili', andata in onda il 20 gennaio 2013, che fornisce prova di quanto affermato da Bernardo De Bernardinis nella conferenza stampa tenuta a margine della riunione del 31 marzo 2013, alla presenza di Franco Barberi, Mauro Dolce, Gian Michele Calvi, Massimo Cialente e Daniela Stati.

Sosteneva il vicecapo del settore tecnico del Dipartimento di Protezione civile: "...[le scosse] potrebbero durare parecchio... ma non ci si aspetta una crescita della magnitudine rispetto agli eventi...".

Guarda il caso, nel verbale ufficiale - redatto dopo il terremoto - la tesi dello scarico d'energia è scomparsa completamente: e nessuno ricordava di averne parlato, di averne discusso, anche perché si trattava - a dire degli imputati - di una 'boiata pazzesca' e l'ambiente scientifico ne era assolutamente consapevole. Non ne era consapevole la popolazione preoccupata, però. Nessuno fece nulla per smentire la falsa teoria dello scarico d'energia. Si sono create false illusioni su di un assunto che non era affatto fondato dal punto di vista scientifico. Perché non è stato detto, nel corso della riunione della Commissione? Perché non è stato detto dinanzi al sindaco Cialente e all'assessora Stati?.

E le difese? Gli avvocati hanno presentato oltre mille pagine di ricorsi, tentando di scardinare il nesso causale tra la riunione del 31 marzo e il cambio d'abitudine dei cittadini aquilani. E' stato introdotto anche un altro argomento che, nelle intenzioni, dovrebbe smontare le accuse. Non si sarebbe trattato di una vera riunione della Grandi rischi, innanzitutto perché non erano state rispettate le regole di convocazione e poi perché mancava il numero legale che doveva essere di 10 membri. Invece, si arrivò al numero legale per la presenza di soggetti esterni (tra gli altri, il sindaco dell'Aquila Cialente e l'assessora regionale Stati). Eppure, gli imputati si dichiararono come Commissione Grandi rishi e, così, firmarono il verbale post-datato emesso dopo la scossa del 6 aprile.

Diversa la linea difensiva tenuta dall'avvocato di Enzo Boschi, Marcello Melandri, che ha inteso invece concentrarsi sul messaggio che la Commissione ha effettivamente veicolato alla cittadinanza. Stando al legale, nessuno di coloro che prese parte alla rinuione disse che la sequenza sismica in corso fosse da ritenere come un semplice scarico di energia e, dunque, come un segnale rassicurante. "Siamo qui per una serie di circostanze non addebitabili a nessuno - ha sottolineato Melandri nel corso del processo d'appello - tutto nasce da una inesatta comunicazione, non di certo della Commissione Grandi rischi piuttosto dei mezzi di comunicazione che hanno dato risalto ad una intervista rilasciata da De Bernardinis prima, e non dopo, la riunione". La colpa sarebbe quindi della stampa, il vero mittente - secondo Melandri - del messaggio rassicuratorio agli aquilani "tanto che il sindaco Cialente non si sentì affatto rassicurato, come ha anche testimoniato, e il giorno successivo alla Commissione decretò lo stato di emergenza".

Se non riferirono nulla, cosa fecero allora i sette scienziati riuniti in Commissione? "Una serie di comunicazioni tra di loro senza che ci sia mai stato un messaggio rassicurante della commissione o di qualcuno della commissione", ha spiegato a NewsTown il difensore di Boschi.
Quindi la Commissione non ha nemmeno comunicato il rischio esistente alla popolazione? "Ha detto soltanto - ha risposto l'avvocato - che la zona dell'Aquila è la più sismica d'Europa e che quindi ci si può aspettare in qualsiasi momento un terremoto prescindendo da uno sciame sismico che non ne è certo un precursore".

L'avvocato Roberto Petrelli, difensore di Franco Barberi, ha atresì contestato la presunta rappresentazione sociale del capo di imputazione: "E' stata straordinaria la sostituzione dei fatti con le idee che si ha di quei fatti".

"L'accusa e la sentenza si basano sulle rappresentazioni sociali dei fatti, non sui fatti stessi - ha tentato di dimostrare Petrelli - parafrasando la deposizione del consulente Francesco Sidoti (consulenza delle parti civili in primo grado, ndr): non conta quello che sta avvenendo in questa aula, ma quello che viene detto che sia avvenuto in questa aula".

Secondo il difensore di Barberi la colpa scivola via dal perimetro della "sua tipicità". Se si assume cioé che ci si è trovati di fronte a una vicenda che trae origine da un incarico conferito da un ente (lo Stato) a un suo organismo di consulenza (la Commissione Grandi Rischi), allora "i due soggetti sono distinti per natura, per le leggi che lo governano. Un conto è chi chiede un parere, un altro conto è per chi lo dà".

Poi è neanche tanto velata la volontà di mantenere la distanza tra politica e scienza: "Chi riceve una convocazione per la Commissione - ha affermato Petrelli - ha un parametro fissato che delimita il perimetro dell'attività svolta da chi decide la convocazione. Ci sono parametri che decide l'Ente che convoca, non la Commissione convocata".

Insomma la difesa di Franco Barberi si è basata, in gran parte, sulle competenze e sulle responsabilità: "Non c'è una indicazione diretta da parte della Commissione Grandi Rischi, non c'è mai stata. C'è stata una sostanziale raffigurazione di una induzione volontaria". Una raffigurazione sociale, insomma, dei fatti avvenuti. Per il difensore di Barberi tutta la "falsa rassicurazione" da parte della Commissione Grandi Rischi si racchiude infatti in quattro interviste precedenti e successive alla riunione della Commissione stessa. "Perciò – ha detto Petrelli – visto che il giudice non tiene conto di queste interviste e di quei contenuti, la percezione dei fatti si è sostituita all'emergere di fatti di natura documentale". 

Altro concetto contestato dagli avvocati delle difese, in particolare da Musco - difensore del professor Calvi - è la cooperazione colposa: "Tiene avvinghiate tutte le posizioni degli imputati", ha incalzato. "Al contrario, se non c'è violazione di una regola cautelare non può esserci mai colpa. E' il caso del professor Calvi: non è un sismologo, è un ingegnere che si occupa di sisma e che svolge, dunque, una funzione profondamente diversa dai sismologi. Il professor Calvi - nel corso del suo interrogatorio - ha spiegato che, il 31 marzo, si è tenuta una riunione di sostanza: è arrivato a L'Aquila e gli sono stati forniti alcune informazioni riferite al momento. In base ai dati ricevuti, ha analizzato scientificamente i possibili effetti delle scosse sul costruito, su parametri di accellerazione e spostamento. Visto che le scosse non avevano, fino ad allora, superato il grado 4 della scala Richter, il professor Calvi non ha fatto altro che sottolineare che, allo stato dei fatti, non si sarebbero registrati danni rilevanti alle strutture sensibili".

Inoltre, Calvi sarebbe rimasto "lontano dalle conferenze stampe, senza avere alcun dialogo con i giornalisti. Questi sono i dati fattuali, e la fattualità è ineliminabile", ha ribadito Musco. "Volete davvero condannare un futuro premio Nobel a 6 anni per aver fornito un parere scientifico. Qual è la regola cautelare che il professore ha violato per meritare la condanna?".

"Siamo dinanzi ad un giudizio di colpa senza colpa", ha concluso il legale.

Non resta che attendere il tardo pomeriggio, per capire se il Collegio giudicante la penserà così o se, al contrario, accoglierà le richieste del procuratore generale confermando la sentenza di condanna a 6 anni per i 7 scienziati che si riunirono a L'Aquila il 31 marzo 2009.

NewsTown sta seguendo l'ultima udienza del processo con una diretta twitter. Hashtag: #grandirischi. Intanto, su Facebook sta girando un invito: 'Dobbiamo esserci, perché ci riguarda tutti'. "E' un appuntamento che ci riguarda tutti, non solo come aquilani", si legge. "E’ l’Italia intera a doversi interrogare e mobilitare sui temi della sicurezza e della corretta informazione. Quello che sta accadendo in questi giorni con le alluvioni indica che ci sono ancora gravi carenze su questi temi. Facciamo sentire la nostra presenza, partecipe e composta: la ricerca della verità non può essere un fardello lasciato ai parenti delle vittime: è un fatto che ci riguarda tutti". (Nello Avellani)

 

 

 

Il processo d'appello raccontato da NewsTown

10 ottobre, La prima udienza: Il procuratore generale chiede la conferma della condanna

17 e 18 ottobre, Parlano le parti civili e iniziano le arringhe delle difese: Non si riunì Commissione, fu riunione di singoli

24 ottobre, spazio ancora alle difese: La colpa è della stampa, a rassicurare furono i giornalisti 

30 ottobre, le ultime parole: #Grandirischi: lunedì 10 novembre la sentenza d'appello

Ultima modifica il Martedì, 22 Marzo 2016 09:53

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