Lunedì, 03 Agosto 2015 17:52

Centrale a biomasse, Consiglio di Stato accoglie il ricorso della Futuris

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Una sentenza durissima che lascia davvero poco spazio all'interpretazione.

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Futuris aquilana, società che vorrebbe costruire una centrale a biomasse a Bazzano, contro il comitato civico "La Terra dei figli" e la Pro loco di Onna, stravolgendo completamente la sentenza del Tar del 12 novembre 2014.

Dopo due anni di opposizioni, ricorsi, azioni legali, risoluzioni e mozioni contrarie votate dal Consiglio regionale e da quello comunale, la sentenza potrebbe mettere una pietra tombale sulla vicenda, aprendo, di fatto, la strada all'avvio dei lavori che potrebbero partire già dopo l'estate.

Accogliendo il ricorso della Futuris, il Consiglio di Stato ha infatti ritenuto inconsistenti le ragioni del 'fronte del no', costituitosi intorno all'opposizione degli abitanti di Onna, Paganica, Bazzano, Monticchio e San Gregorio che contestano l'impatto nocivo che le emissioni della centrale (un impianto da 4,996 Mwe) potrebbero avere in una zona che dopo il terremoto si è fortemente antropizzata, il piano di approvvigionamento della biomassa e, non ultimo, il fatto che il progetto della Futuris insista in una zona ad alto rischio idrogeolgico. Inoltre, sempre secondo i comitati, la Futuris, in sede di conferenza dei servizi, non ha chiesto tutte le autorizzazioni e i pareri necessari, in primis quelli del Parco nazionale e degli usi civici. 

"Pare quasi che il Consiglio di Stato abbia voluto sgombrare il campo da ogni equivoco", riconosce l'avvocato della Pro loco di Onna, Pierluigi Pezzopane. "Le motivazioni della sentenza, infatti, sono molto rigide: non ci si è limitati a ribaltare la sentenza di primo grado, che si era soffermata ad uno dei motivi sollevati, ha invece esaminato tutti i profili che avevamo sollevato, smondantoli uno per uno".

Pezzopane non nasconde l'amarezza: "Avevamo percepito che i giudici non fossero ben disposti nei nostri confronti, anzi sembrava volessero assecondare l'appello, come si fossero fatti un'idea favorevole alla società. Ed in effetti, la sentenza parla chiaro".

Insomma, non è servito a nulla il pronunciamento del settore pianificazione del Comune dell'Aquila che, alla fine di maggio 2015, aveva espresso parere negativo di compatibilità urbanistica, ritirando il pronunciamento favorevole espresso in Conferenza dei servizi, nel lontano 2010. Non è servito a nulla neppure l'intervento della Regione che, dopo la risoluzione proposta da Pierpaolo Pietrucci e votata all'unanimità dal Consiglio, aveva revocato in autotutela il titolo autorizzativo per "discrasie tra l'attuale situazione e il titolo autorizzativo concretizzatosi nel 2010", aveva spiegato l'assessore all'ambiente Mario Mazzocca.

In particolare, il settore competente aveva riscontrato una tardiva verifica dell'autorità di bacino in merito al grado di pericolosità dell'area su cui dovrebbe insistere la centrale della Futuris aquilana, classificata inizialmente come area P2, a minore pericolosità, e invece area P1, a pericolosità maggiore.

Il passo indietro di Regione Abruzzo, evidentemente, è arrivato troppo tardi. "Si doveva intervenire prima del pronunciamento del Tar", riconosce l'avvocato Pezzopane. Ed infatti, il Consiglio di Stato - nella sentenza - ha chiarito come "non sussistano i presupposti per sospendere il presente giudizio in attesa della definizione di quello relativo all’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione, in applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ., come parimenti domandato dai medesimi ricorrenti in primo grado. In primo luogo, non è configurabile alcun obbligo di sospensione ai sensi della citata disposizione del codice di procedura civile, dal momento che la stessa non è applicabile a giudizi pendenti in diverso grado. Ma in radice non è configurabile alcuna pregiudizialità in senso tecnico. [...] Sia la pronuncia giurisdizionale del TAR che l’atto sopravvenuto sono sinergicamente convergenti nel senso di ledere gli interessi delle odierne appellanti, mentre l’ipotetico accertamento dell’illegittimità di quest’ultimo non esplicherebbe alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio, lasciando comunque immutato l’effetto pregiudizievole della prima. Solo l’opposto (ed altrettanto eventuale) esito del separato giudizio, e cioè il definitivo rigetto dell’impugnativa contro l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione comporterebbe l’improcedibilità del presente appello. Ciò tuttavia per il definitivo consolidarsi di un provvedimento sfavorevole alle due società odierne appellanti, ma non già per l’effetto vincolante che l’annullamento dell’atto di autotutela esplicherebbe nel presente giudizio. Non può del resto concepirsi una pregiudizialità secundum eventum litis".

Tra l'altro, con la sentenza del Consiglio di Stato si è creato un problema procedurale di non poco conto. Il provvedimento di Regione Abruzzo, infatti, è arrivato a seguito del pronunciamento del Tar che, in primo grado, aveva di fatto già bloccato il progetto, seppure la sentenza fosse esecutiva ma non certo definitiva. La Futuris aquilana ha, quindi, promosso altro ricorso innanzi al Tribunale amministrativo contro la decisione della Regione, senza però chiedere la sospensiva del provvedimento. A questo punto, visto il clima favorevole, potrebbe chiedere la sospensiva ed avviare, così, i lavori.

 

I motivi della sentenza 

Sfogliando la sentenza, entrando dunque nel merito dell'appello, il Consiglio di Stato ritiene infondate, innanzitutto, le critiche formulate nei confronti del vano interrato destinato allo stoccaggio delle biomasse, non conforme - stando ai comitati cittadini - con il divieto contenuto nell’art. 21, comma 1, lett. b), delle relative norme tecniche di attuazione, secondo cui "non è consentita la realizzazione di piani seminterrati e interrati", applicabile ai sensi del successivo art. 22, comma 2, alle aree tipizzate a pericolosità idraulica moderata (P1), quale quella in cui l’impianto in contestazione dovrebbe sorgere.

"Il TAR ha ricondotto a tale ipotesi astratta il vano destinato allo stoccaggio delle biomasse", si legge in sentenza. Ma "la relazione tecnica depositata nel giudizio di primo grado, contenente in particolare una sezione prospettica longitudinale, lascia emergere in modo chiaro che non si tratta di un piano ma di un volume posto al di sotto del piano di campagna, fino ad una quota di – 5 metri, facente parte della complessiva struttura impiantistica (per il resto fuori terra). Dal documento in esame si trae in particolare la conferma che il vano contestato consiste in una fossa non accessibile al personale, in cui la biomassa viene scaricata dagli automezzi dall’apposita apertura 'completamente chiudibile mediante due portoni ad avvolgimento rapido' (così ancora nella relazione tecnica), al di sopra della quale si colloca, sopra il piano di campagna, un carroponte elettromagnetico con benna necessario all’estrazione del materiale, sormontato dal relativo involucro".

Sulla base di ciò, il Consiglio di Stato smentisce i rilievi del TAR, secondo cui una simile struttura metterebbe a repentaglio le finalità perseguite dal piano regionale di difesa dalle alluvioni, "a causa del 'probabile trascinamento incontrollato e devastante di tonnellate di materiale, veicolato in superficie dalla furia dell’acqua'. L’apocalittico scenario descritto - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato - è in realtà privo di adeguato supporto probatorio e puntualmente smentito dalle deduzioni delle odierne appellanti, le quali hanno anche sottolineato, in più punti delle proprie difese, che la biomassa consiste in cippato e cioè in legno ridotto in scaglie di modeste dimensioni. Del pari smentito è il pericolo per l’incolumità delle persone, avendo le medesime società debitamente rappresentato, attraverso la relazione tecnica e la tavola prospettica sopra esaminate, che il vano in questione non è accessibile al personale addetto all’impianto".

E' stato giudicato fondato anche l'altro motivo d’appello, diretto a censurare la sentenza n. 793 del 12 novembre 2014 nella parte in cui il giudice di primo grado ha escluso il presupposto dell’acquisizione della disponibilità delle aree su cui l’impianto deve essere realizzato entro l’anno dal rilascio dell’autorizzazione, e cioè entro il 30 agosto 2011, necessario ai fini della relativa proroga. Secondo il TAR, la prova in questione presupponeva necessariamente la registrazione a fini fiscali dei contratti preliminari di acquisto dei terreni, adempimento tardivamente effettuato, nel caso di specie, nel successivo mese di settembre 2011.

"Il principio affermato dal giudice di primo grado non è tuttavia conforme all’orientamento della Cassazione - si legge in sentenza - secondo la quale la data certa di una scrittura privata può essere ricavata da qualsiasi altra prova idonea. Ebbene, nel caso di specie questa idoneità probatoria è certamente ravvisabile nella documentazione bancaria comprovante i pagamenti in favore dei promittenti venditori e nelle quietanze di versamento dell’imposta di registro, entrambi anteriori al termine del 30 agosto 2011, poiché confermano che le transazioni commerciali sono avvenute alle date indicate nei relativi documenti. Attraverso le produzioni documentali del giudizio di primo grado le appellanti hanno anche documentato l’ulteriore presupposto necessario alla proroga, su cui peraltro il TAR nulla ha statuito, e cioè l’accettazione del preventivo per l’allacciamento alla rete elettrica nazionale, effettuato dalla MA&D sin dal novembre 2009, avendo quest’ultima in tal modo assunto, in qualità di società (allora) istante, tutti gli obblighi derivanti dal titolo autorizzativo. Obblighi nei quali - per rispondere alle censure degli originari ricorrenti sul punto - la Futuris Aquilana è subentrata in seguito alla voltura dell’autorizzazione a proprio favore disposta dalla Regione".

Infondati - stando al Consiglio di Stato - anche gli altri rilievi. In particolare:

  • "l’area su cui l’impianto deve essere realizzato è tipizzata come industriale, cosicché la disponibilità della stessa non è condizione per il rilascio del titolo;
  • in sede autorizzativa non occorreva alcun parere della competente Autorità di bacino in base al piano stralcio per la difesa dalle alluvioni e non è stato violato il divieto assoluto di realizzare nuove costruzioni, perché l’uno e l’altro presupposto di legittimità sono legati all’insistenza dell’opera sulle aree a rischio idraulico elevato (P3), nel caso di specie non sussistente;
  • non sussiste alcuna deroga ai valori limite delle emissioni inquinanti stabiliti dalla Regione Abruzzo ai sensi dell’art. 272 t.u. ambiente, poiché, come puntualmente controdedotto davanti al TAR dalla MA&D, attraverso le modifiche apportate alla delibera di giunta regionale n. 517 del 27 giugno 2007 con la successiva delibera n. 329 del 29 giugno 2009, i limiti per i nuovi impianti, tra cui quello in contestazione, sono quelli valevoli su base nazionale, e cioè i limiti di cui all’allegato I alla parte V del t.u. ambiente n. 152/2006, e non già quello fisso del 30% di abbattimento rispetto a questi ultimi precedentemente previsto in via generale in ambito regionale;
  • il piano di approvvigionamento della biomassa non costituisce elemento di valutazione in sede di autorizzazione ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003, perché fuoriesce dalle nozioni di 'impianti alimentati da fonti rinnovabili' e di 'opere connesse' e 'infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti' impiegate nel comma 1 della disposizione in esame;
  • sono inammissibili, perché di puro merito, le doglianze volte a sostenere l’insostenibilità del piano di approvvigionamento della biomassa presentato in sede autorizzativa dalla MA&D;
  • i limiti per la sottoposizione a valutazione di impatto ambientale del progetto sono quelli propri della tipologia di impianto, rispetto al cui superamento non vi è alcuna deduzione, e non già quelli per il mutamento di destinazione d’uso di aree naturali protette, come invece ritenuto dai ricorrenti in ragione dei luoghi presso i quali si prevede l’approvvigionamento della biomassa in base al piano predisposto in sede autorizzativa, fermo restando che quest’ultima evenienza è stata puntualmente ed in modo condivisibile smentita già nel corso del giudizio di primo grado;
  • per le medesime ragioni, non vi era la necessità di acquisire in sede di conferenza di servizi il parere degli enti parco competenti ai sensi della legge quadro n. 394/1991;
  • avendo la società originaria istante ottenuto dall’allora Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila già nel 2009 l’assegnazione delle aree, come documentato nel giudizio di primo grado, lo stesso non era onerato di promuovere le relative espropriazioni e di possedere i requisiti previsti dalla delibera di giunta regionale n. 351 del 12 aprile 2007".

 

La politica vuole tirare dritto ma la Futuris minaccia richieste di risarcimento danni

Una sentenza durissima, dicevamo. Ed ora? La politica pare non voler arretrare. Se il Comune dell'Aquila è rimasto silente, il consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci ha sottolineato come la sentenza sia "solo un passaggio, tutt’altro che definitivo. Un passaggio che non condividiamo affatto, convinti come siamo che la realizzazione dell’impianto in quell’area sia miope e pericolosa. Non arretriamo, e non ci facciamo intimidire".

Più cauto l'assessore all'ambiente Mario Mazzocca che, pur ribadendo l'indirizzo politico dell'amministrazione regionale, non ha voluto rilasciare altre dichiarazioni, preferendo approfondire le motivazioni della sentenza.

E la Futuris aquilana? Come aveva già minacciato ai microfoni di NewsTown, tempo fa, Antonio Nidoli - forte della sentenza in favore della società - starebbe pensando ad una richiesta di risarcimento danni. "Auspichiamo che Regione Abruzzo revochi al più presto la determina con la quale ha annullato l'autorizzazione all'impianto", ha spiegato Nidoli a 'Il Messaggero'.

"Sono soddisfatto che la verità sia finalmente venuta fuori. Purtroppo però non c'è da stare allegri - ha aggiunto - perché abbiamo perso 5 anni che nessuno riuscirà a recuperare". Lasciando intendere, appunto, che si sta pensando ad una richiesta di risarcimento. "Vediamo se il comportamento dell'ente non ha comportato dei problemi in relazione alle tempistiche che la normativa nazionale impone per il nostro intervento. Valuteremo se i ritardi non comporteranno conseguenze".

 

Ultima modifica il Martedì, 04 Agosto 2015 19:04

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