Domenica, 22 Settembre 2013 12:18

Praticamente innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma / 4: Collemaggio (terza parte)

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Siamo giunti al quarto appuntamento con la rubrica domenicale di NewsTown "Praticamente Innocua - Viaggio semiserio nell'Aquila post-sisma". Dopo aver aperto sul Castello Cinquecentesco, abbiamo visitato lungamente l'area di Collemaggio: la Basilica e il Parco del Sole. In quest'ultima parte dedicata a una delle aree più belle della città, andremo a scoprire i diciannove ettari dell'ex ospedale psichiatrico.

 

Nell'epoca in cui la lingua italiana non andava troppo per il sottile e con ingenua scorrettezza lessicale abusava di una terminologia a tratti involontariamente greve, nell'epoca, per capirci in cui le colf erano ancora donne di servizio, gli operatori ecologici erano spazzini e i diversamente abili erano handicappati, in quell'epoca di parole semplici che tentavano di racchiudere il senso di situazioni estremamente più complesse nessuno conosceva l'esistenza di malati psichiatrici, disturbi mentali e disagio sociale. In quell'epoca c'erano i matti, e i matti, all'Aquila, stavano a Collemaggio.

Nell'immaginario periferico e culturalmente un po' rudimentale di una popolazione ancora non completamente affrancata alla modernità, coi matti c'era poco da scherzare. Dava sicurezza saperli rinchiusi tra le mura solide dell'ospedale psichiatrico, che sonnecchiava misterioso e impenetrabile accanto alla basilica di Collemaggio covando i suoi segreti. Di tanto in tanto, quando la legge Basaglia tentò di abbattere quel muro di ignoranza di cui oggi si stenta persino a parlare, da quel recinto di dolore emergeva, per la disperazione delle mamme che stazionavano alla Villa comunale coi loro pargoli indifesi, qualche personaggio lunare, naif, esotico che con la sua singolarità metteva alla prova la fragile normalità del mondo di fuori. Di queste persone, la cui memoria si è affievolita negli anni, resta oggi il ricordo dolce di quando tutti noi, per la prima volta, guardammo in faccia senza pudore la diversità.

Quando quel mondo finì, quando il diaframma tra il dentro e fuori si ruppe definitivamente, la città si appropriò, o tentò di farlo, dello spazio cinto da quel muro un tempo tabù. Piano piano i presìdi medici, con le loro file eterne e disperanti, hanno fatto familiarizzare la popolazione con quello spazio suggestivo, anche se ancora oggi non molti ne conoscono gli anfratti più reconditi e sicuramente pochissimi l'hanno mai girato a piedi.
Una prima sorprendente ricchezza di questo sito è costituita dalla varietà della flora. Io rientro in quel novero di maschi urbani per cui il mondo vegetale si divide nelle tre grandi categorie di “fiori”, “alberi” e “olive del Martini” e potrei tranquillamente scambiare un baobab per un porcino, ma gente parecchio più informata di me giura che camminando per il parco sollevando per una volta lo sguardo dallo smartphone si possono incontrare il cedro e la sequoia (!!!), sembrerebbe arrivati in epoca fascista nel tentativo di creare una specie di orto botanico. Dato il pressappochismo sulle fonti che ormai mi contraddistingue siete autorizzati a non credermi, quindi andate voi stessi e resterete sorpresi.

Un secondo tesoro dell'area è quello immobiliare. Stupisce la quantità e la diversità dei palazzi che una serie di interventi assolutamente scoordinati ha sovrapposto nel tempo. Torrette con lucernai, una chiesa di cemento ostentatamente grigia, il palazzo dell'Accademia dell'Immagine con la sua autoreferenziale citazione kubrickiana (a me ha sempre ricordato, per posizione dominante e atmosfera ma non certo per linea, l'Overlook Hotel di Shining), il palazzo dell'orologio, perennemente fermo alle 8 e 15 di non si sa più quale giorno, e decine e decine di altre costruzioni che spaziano dal condominio di periferia romana anni Settanta alla palazzina liberty con giardino e cancellata in ferro battuto. Una natura incolta e rutilante amalgama questi elementi incoerenti in un colpo d'occhio inconsueto e interessante conferendo all'insieme quella caratteristica, molto aquilana, di spontaneità da abbandono.

Tutto questo ben di Dio, e in particolar modo il suo controvalore monetario, ha ovviamente messo in moto una serie di appetiti incrociati. Le cronache cittadine ne sono piene da almeno quattro anni, quindi se la smetteste di leggere ridicole finte guide turistiche e vi dedicaste alle questioni serie potreste farvi un'idea vostra. Ma dato che leggete stupide guide vi tocca il mio Bignami della situazione che, in breve, è la seguente: la ASL è proprietaria del sito, che per la legge 180 deve essere destinato a uso socio-sanitario; la ASL gradirebbe un cambio di destinazione d'uso, che le permetterebbe di vendere a speculatori immobiliari; questo cambio di destinazione d'uso deve essere avallato dal Comune; se la cosa andasse in porto, la cittadinanza perderebbe un luogo bellissimo e un pezzo di storia in cambio di niente. Ma questo posto ci insegna che a volte, nelle storie normali di una città normale, bisogna fare i conti con i matti.

I matti in questione sono un gruppo di giovani (e diversamente giovani) che hanno scelto come base operativa una piccola e diroccata casupola nelle aiuole di destra entrando nel parco, l'hanno rimessa sù nei mesi successivi al terremoto e, con un colpo di genio in cui l'antica vocazione del sito si mescola allo spirito dei nuovi arrivati, l'hanno ribattezzata Casematte. Se avete vissuto all'Aquila negli ultimi quattro anni e non siete mai stati a Casematte o vivete in un polmone d'acciaio, o fate parte della schiera degli aquilani tristi che si incontrano nei centri commerciali allargando le braccia in un gesto di estrema rassegnazione deplorando il fato, o siete semplicemente male informati. Se rientrate nel primo caso pare che la ASL locale abbia un ottimo pneumologo, consultabile nel week end, se siete della seconda categoria fatevi una vita, se siete tra i disinformati questa guida è qui per colmare le vostre lacune.

Casematte è un chiodo ficcato nell'ingranaggio, un posto senza padroni nel mezzo di un parco con scritto “vendesi”. E' l'arena dalla quale è passata una buona parte dell'analisi politica alternativa di questa città dopo il sisma, ma è anche il luogo di aggregazione che ha visto svolgersi centinaia di concerti, presentazioni e dibattiti.
Dettaglio importantissimo, Casematte ha un bar. Ovviamente questo è anche un presidio fastidioso per i piani di svendita di cui sopra, per cui alcuni dei suoi occupanti sono attualmente sotto processo, un processo che (come altri del resto) dovrebbe fare arrossire e gridare allo scandalo i cittadini del nostro piccolo angolo di mondo.

Insomma, sotto le fronde di questo parco in semiabbandono va in scena la rappresentazione del bivio davanti a cui il terremoto ha messo questa città: da un lato un gioco di interessi incrociati e affari privati, dall'altro un percorso immaginifico e alternativo nell'interesse della comunità.

Una via è quella che abbiamo visto percorrere tante volte.

L'altra è roba da matti.

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