Giovedì, 29 Settembre 2016 11:36

Terremoto, vietato vivere in "casette" private. In attesa del mega appalto pubblico

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Si sta prefigurando uno scenario per certi versi nuovo nel complesso primo post-sisma all'interno dei territori colpiti dal terremoto dello scorso 24 agosto.

Ha fatto rumore in questi giorni la notizia secondo la quale ad una famiglia di allevatori a Faizzone, frazione di Amatrice (Rieti), sarebbe stato ordinato lo sgombero del modulo provvisorio in legno donato da un'associazione e installato su un terreno di proprietà degli stessi residenti-sfollati.

I tecnici comunali hanno ordinato lo sgombero, perché si tratterebbe di abuso edilizio, in violazione al piano regolatore vigente. Non c'è nessun riferimento alla situazione di grave emergenza in cui si trovano gli sfollati che vogliono (e devono, nel caso di molti imprenditori agricoli) rimanere all'interno del loro territorio, in attesa della costruzione dei moduli abitativi provvisori (map), annunciati dalla struttura commissariale di Vasco Errani solo per la prossima primavera.

Non c'è, al momento, nessuna ordinanza da parte dei sindaci dei comuni colpiti, per andare in deroga alla burocrazia e sancire il diritto delle persone a rimanere dove vogliono rimanere, eseguire allacci temporanei alle utenze e spendendo, peraltro, soldi propri senza chiamare in causa l'assistenza.

Ed è probabilmente questo impasse - frutto di precise scelte politiche dei vari livelli di governo, dal centrale alle amministrazioni comunali - ad aver impedito ad oggi anche il trasporto delle diciassette casette su ruota disponibili all'Aquila, di proprietà dell'Anas, e abbandonate da tempo nella periferia est del capoluogo abruzzese.

Delle case dell'Anas abbiamo parlato qualche giorno fa, ricevendo anche la risposta da parte dalla stessa società delle strade [leggi], che si è dichiarata disponibile a metterle a disposizione degli sfollati, attraverso comuni e Protezione Civile. Una sorta di donazione tra enti pubblici che incredibilmente ancora non avviene e viene per lo più sottaciuta, nonostante dopo l'inchiesta di old.news-town.it [leggi] ne abbiano parlato anche il quotidiano web Fanpage.it, La Stampa di Torino e, ieri mattina, anche Luca Bottura su Radio Capital.

A quanto si apprende, due settimane fa una delegazione di Amatrice si è persino recata ad Onna per visionarle, chiedendo poi al sindaco Sergio Pirozzi di firmare un'ordinanza di acquisizione che, ad oggi, ha negato. Un vero peccato per tante famiglie (almeno due frazioni) che potrebbero passare l'inverno sotto un tetto piuttosto confortevole, e nella propria terra, piuttosto che trasferirsi, e far spendere soldi allo Stato per alberghi, affitti e quant'altro.

La situazione nei territori terremotati è, almeno in questo ambito, del tutto diversa rispetto a quella creatasi all'indomani del sisma aquilano del 2009, quando il sindaco del capoluogo abruzzese Massimo Cialente autorizzò, attraverso la controversa Delibera 58, la costruzione in autofinanziamento delle "casette" nei terreni di proprietà.

Una scelta non facile, tuttavia dettata da diversi fattori: primo su tutti l'insufficienza nel soddisfare il fabbisogno abitativo degli alloggi del governo Berlusconi, costruiti per circa 17mila persone, a fronte di 35mila (in quel momento) senza casa. Una scelta che, si badi bene, ha certamente avuto la conseguenza di complicare la rete dei sottoservizi all'Aquila (generando problemi ai servizi stessi), aumentare la cubatura del costruito e imbrogliare la struttura urbana. Le migliaia di "casette" permesse dalla Delibera 58 si sarebbero dovute smontare entro il 2012, ma la maggior parte sono ancora lì, perché nessuno si assume la responsabilità politica di farle abbattere e, perché, in fondo, qualcuno ancora ci vive.

Nessuno nega che rappresentino un problema, ci mancherebbe, ma dagli errori si impara migliorando, studiando soluzioni diverse, in relazione al consumo di suolo, alle metrature, e soprattutto alla luce delle modeste cifre demografiche delle nuove zone terremotate. Non negando coattamente la possibilità delle comunità di determinare per loro stesse presente e futuro.

La scelta fatta ad oggi dai sindaci, probabilmente suggerita (se non sottilmente imposta) dalla struttura commissariale, sancisce un principio anche ideologico, oltre che pratico: il cittadino non può organizzarsi autonomamente, neanche se spende soldi propri.

Chissà se nella scelta di non firmare ordinanze per la deroga agli insediamenti abitativi, di non acquisire i moduli su ruota dell'Anas, di ordinare uno sgombero ad una famiglia di allevatori terremotati, ci sia di mezzo l'ormai famoso bando Consip, di cui questo giornale ha raccontato già il 5 settembre scorso [leggi l'articolo], e assegnato nell'agosto dell'anno scorso, dodici mesi prima del terremoto.

1,2 miliardi di euro e grandi imprese riunite nel Consorzio nazionale servizi (Cns), capeggiato sostanzialmente dalle grandi coop emiliane, dal quale attingere per appaltare moduli provvisori in caso di terremoto. Ed in questo caso eccome se si tratta di soldi pubblici.

Ultima modifica il Giovedì, 29 Settembre 2016 13:06

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