"Vita in te ci credo / le nebbie si diradano / e ormai ti vedo / non e' stato facile / uscire da un passato / che mi ha lavato l'anima / fino quasi a renderla / un po' sdrucita / vita io ti vedo" (Lucio Dalla, Vita)
Vita. E' sicuramente questa una delle parole venute in mente ai tanti accorsi ieri in Piazza Angioina, nella splendida seppur precaria cornice della Chiesa di San Domenico, in una delle zone più belle del centro storico aquilano. Una piazza sicuramente tra le più abbandonate e meno frequentate della città. Una piazza in cui ieri, grazie a Lotto Giugno, è tornata per un attimo la vita. Un mercato di produttori artigiani, un partecipatissimo torneo di scacchi, giochi popolari dove bambini si cimentano nel rubare la bandiera tricolore, il dibattito su nuove possibili e indipendenti forme di mobilitazione, il concerto finale. Dopo la “Festa della [non] Ricostruzione” dello scorso 23 marzo, un cartello di collettivi e associazioni sono tornati in piazza per ribadire con gioia – ma anche con determinazione – che gli aquilani pretendono che la città venga ricostruita. Per dire con forza che L'Aquila deve essere necessariamente una priorità del governo e non deve continuare ad essere il giocattolo di amministrazioni dall'atteggiamento schizofrenico ed egocentrico. Tutto questo è stato Lotto Giugno. Ma non solo. E' stata anche l'ennesima riappropriazione di un luogo pubblico – un bene comune – da parte della collettività.
A più di quattro anni dal terremoto, il centro storico è abbandonato alle erbacce e alla polvere. Durante lo scorso inverno l'ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca e il sindaco Massimo Cialente affermarono più volte che il 21 marzo ci sarebbe stata “la primavera aquilana”, l'inizio della ricostruzione vera. Solo promesse, almeno fino ad oggi. Ieri, al contrario, in piazza spiccava un grande cartello, nel quale si narrava semplicemente una cronostoria di quel che è successo a L'Aquila dal 21 marzo ad oggi: la situazione è peggiorata. Dal pomposo annuncio della "ricostruzione della città in cinque anni" da parte del Sindaco, fino al susseguirsi di dichiarazioni degli spiccioli (sì, stiamo parlando di spiccioli) raschiati qua e là nei barili ministeriali. Ci si occupa dell'Imu – leggi 'accontentare Berlusconi' – ma all'Aquila il governo del Partito Democratico e del Popolo delle Libertà non vuole dare un centesimo. Contestualmente, un Sindaco sempre più proteso alla sceneggiata politica e al teatrino mediatico dichiara a giorni alterni battaglie vinte, battaglie perse, battaglie annunciate, battaglie ritirate. Uno spettacolo con tanto di tricolori ritirati e richiami ai moti del '71.
Dopo quattro lunghi anni, gli aquilani e gli abitanti dei comuni del Cratere hanno ben chiaro dinanzi a loro lo scenario: lo Stato non ha intenzione di ricostruire questo territorio e le amministrazioni locali se da un lato sono vittime dei "rubinetti chiusi", dall'altro non riescono a imporsi a livello istituzionale per incapacità, debolezza e in taluni casi complicità. E' ormai chiaro anche ai meno attenti che questo territorio non lo ricostruirà nessun governo di “larghe intese”, nessun commissario dai poteri speciali, nessun Sindaco egocentrico. La ricostruzione materiale, economica e sociale di questo territorio spetta solo alla sua popolazione. A noi. E' stato proprio questo lo spirito che ha animato la giornata di ieri a San Domenico. Occupare di sorrisi, musica, parole e colori una piazza buia e abbandonata da anni.
Vita, dicevamo. Una vita che non può essere ridata da nessun tecnicismo burocratico e da nessun Sindaco (pseudo) battagliero. La vita di cui dobbiamo riappropriarci e con la quale dobbiamo pretendere a gran voce che i finanziamenti per ricostruire siano costanti e adeguati, e che la città diventi un luogo vivibile, migliore di prima. Dobbiamo fare i sacrifici necessari a far sentire la nostra voce, dobbiamo occupare le piazze, le strade, i luoghi abbandonati, i teatri inaugurati e mai aperti, i capannoni costruiti e mai utilizzati. E' necessario che ognuno di noi metta il proprio corpo e la propria mente a disposizione per un obiettivo comune. Ieri, durante il dibattito partecipato di Piazza Angioina, qualcuno ha proposto una acampada, "come a Gezi Park, Barcellona e Wall Street". Un ritorno allo spirito di solidarietà e tenacia che animarono il periodo delle tendopoli, una spinta e un presidio permanente per attrarre l'attenzione dell'Italia e dell'Europa sulla situazione che questa città vive quotidianamente. Un grido determinato nel volersi mettere in gioco per pretendere che i diritti di questa comunità vengano rispettati e non disattesi. Un modo per organizzarci con criteri altri rispetto a quelli, chiaramente fallimentari, che ci hanno guidato dall'alto finora.
La giornata di ieri a San Domenico - come quella di marzo a Piazza Palazzo, come quella che ogni gruppo (o singolo) tenta faticosamente di realizzare quotidianamente per continuare a vivere e dare vita a questa comunità - sarà utile solo se sarà un nuovo inizio dal quale partire con una mobilitazione permanente che si imponga per riscrivere le regole del processo di ricostruzione. Nessuno lo farà al posto nostro. Possiamo farlo solo noi, con i nostri corpi, le nostre menti e le nostre vite.