L'Aquila si appresta a vivere il suo primo week-end senza bandiera tricolore sugli uffici pubblici. Così hanno deciso il Sindaco e la sua maggioranza per continuare la protesta estrema contro il Governo, nonostante i richiami del Prefetto.
Ma da dove viene questa scelta dal carattere eversivo? Il 23 Marzo, appena due giorni dopo l'arrivo della primavera che doveva sancire l'inizio della ricostruzione a sentire Fabrizio Barca - a margine della "festa della non ricostruzione" organizzata da comitati e associazioni per denunciare le false promesse dell'allora Ministro - Massimo Cialente, che due giorni prima era seduto proprio affianco a Barca, parlò per la prima volta di "repubblica indipendente dell'Aquila": "il Governo dovrà assicurarci cinque miliardi e mezzo per il centro storico e 600 milioni per le periferie, nei prossimi cinque anni. Altrimenti probabilmente non pagheremo più le tasse, probabilmente ci proclameremo repubblica indipendente".
Togliere il tricolore va, effettivamente, nella direzione tracciata già allora da Cialente e chi aveva preso quelle parole solo come boutade si è dovuto in parte ricredere.
Al netto di un certo, discutibile, "stile Cialente", togliere la bandiera italiana - sorprendendo tutti e forse anche se stesso - ha il significato di voler far capire agli aquilani e al paese intero che L'Aquila, così, non è più Italia perché non le viene data l'attenzione che merita e perché non può semplicemente essere lasciata senza prospettiva nello stato in cui si trova.
Cialente è di nuovo riuscito a shockare e, in tal senso, non sbaglia. Forse era necessario far riaprire gli occhi a tutti su qual è l'attuale situazione, e il Sindaco non è esente da responsabilità. Vedremo se, e per quanto tempo comunque, riuscirà a tenere questa posizione da "diritto alla resistenza" senza tornare sui suoi passi o cedere a qualche flebile promessa.
Possiamo, per un esercizio storico, cercare nel passato esempi simili che rimandano lontanamente al gesto forte del Sindaco dell'Aquila e alla sua idea di "repubblica indipendente".
In tal senso è lecito ricordare nella storia la "Comune di Parigi" nata il 18 Marzo 1871, quando la popolazione parigina – e non il sindaco - insorse cacciando il Governo che aveva disatteso le sue aspettative, ed elesse direttamente il governo cittadino. Un governo socialista e libertario basato sul mutualismo e con una gestione federalista, che vedeva nei quartieri di Parigi l'unità minima federata.
Una vicenda storica breve e radicale, interessante e forse unica, in cui la città tolse il tricolore francese e adottò a proprio simbolo la bandiera rossa. Eliminò l'esercito permanente e armò i cittadini, separò lo Stato dalla Chiesa, stabilì l'istruzione laica e gratuita, rese elettivi i magistrati, retribuì i funzionari pubblici e i membri del Consiglio della Comune con salari prossimi a quelli operai, favorì le associazioni dei lavoratori.
Anche in quel caso, fu il netto peggioramento delle condizioni di vita dovuta alla sconfitta di Napoleone III contro la Prussia, a portare i Parigini alla rivolta.
Allora il governo rivoluzionario, che tra l'altro mantenne una buona popolarità, seppe garantire un certo livello di servizi pubblici e prese numerosi provvedimenti: dall'eliminazione dei turni notturni dei panifici, all'istituzione di una pensione per le vedove e gli orfani di guerra, dalla restituzione dei beni dati in pegno allo stato durante la guerra, al riconoscimento del diritto dei lavoratori di impossessarsi della propria fabbrica se abbandonata dal proprietario.
Allora furono i clubs a costituire la struttura politica di base della popolazione parigina. Se ne sono contati trentasei in attività durante la Comune, soprattutto nei quartieri operai. I clubs avevano la loro sede in vari locali pubblici, dai caffè-concerto ai teatri, alle scuole e persino nelle chiese. Avevano un proprio programma politico, si partecipava pagando dieci centesimi, si tenevano pubbliche riunioni, si eleggeva mensilmente un ufficio con un presidente e due vice-presidenti.
La Comune fu repressa nel sangue a Maggio, dopo qualche mese dalla sua nascita, dall'esercito che si era riorganizzato a Versailles.
Chissà quanto durerà, invece, l'assenza del tricolore dagli uffici pubblici dell'Aquila e a che cosa porterà.